AEREO IN RITARDO DI 58 ORE? NO AL RISARCIMENTO SENZA PROVA DEL DANNO

Un'inutile sosta in aeroporto per oltre due giorni, in attesa che decolli il proprio volo, non dà diritto ad alcun risarcimento del danno se questo non viene dimostrato, sotto forma di lucro cessante o di danno emergente. La compagnie straniera resta indenne, anche se non presta alcuna assistenza e se la partenza differita di 58 ore non è imputabile a cause di forza maggiore, come il maltempo. La Cassazione ha così respinto il ricorso di una coppia di italiani contro la American Airlines, contestando al vettore di essere stati abbandonati per oltre due giorni (58 ore), senza alcuna assistenza e informativa, presso l'aeroporto di New York, dopo l'arbitraria soppressione del loro volo diretto a Las Vegas.

Nel caso esaminato non si applica infatti in Regolamento Ce 261/2004, in tema di trasporto internazionale che prevede, a favore dei passeggeri un ristoro indennitario per il caso di cancellazione del volo (nonché, secondo la giurisprudenza europea, per il caso di ritardo superiore a tre ore), indipendentemente dall'esistenza di un effettivo pregiudizio, e senza prova del danno. Una speciale disciplina che si applica ai passeggeri in partenza da un aeroporto situato nel territorio di uno Stato membro e a quelli in partenza da un aeroporto situato in un paese terzo con destinazione in un aeroporto situato nel territorio di uno Stato membro, se il vettore aereo operativo è un vettore dell'Unione. Nello specifico scatta invece la Convenzione di Montreal che sul danno non patrimoniale rimanda al nostro ordinamento interno, secondo il quale è necessaria la prova del danno, in caso di ritardo del volo.

Nel caso esaminato, non si era, infatti, in presenza di un inadempimento ma solo di un adempimento ritardato adempimento e dunque inesatto. “La prestazione non è mancata ma differisce da quella programmata in contratto ed attesa dal creditore in relazione ad una dimensione che la connotava, quella temporale. La distanza cronologica tra il volo programmato e quello effettivo fa sì che la prestazione eseguita non sia esattamente corrispondente a quella programmata in contratto e dovuta dal vettore. Poiché l'interesse del creditore - si legge nella sentenza - era certamente correlato anche a tale connotazione temporale della prestazione, non può dubitarsi che la sua mancanza determini lesione di quell'interesse e, in tal senso, anch'essa, un danno-evento”.

L'esistenza della lesione non consente però di passare direttamente alla cassa della compagnia per il risarcimento. E questo perché il tempo perduto - ossia quello intercorso tra il momento nel quale il creditore attendeva di essere già a destinazione e invece non lo è stato e il momento, successivo, in cui lo è stato - è di per sé un bene impalpabile in assenza di alcun riferimento a ciò che in quel segmento temporale il creditore avrebbe potuto fare e non ha fatto e/o a ciò che avrebbe potuto evitare di fare e che invece è stato costretto a fare. “Il danno risarcibile dunque non può, in tal caso, che identificarsi interamente con le utilità ed i vantaggi, estranei al vincolo obbligatorio - avvertono i giudici - che siano andati eventualmente perduti in ragione del ritardo (lucro cessante) e/o con i maggiori esborsi eventualmente resisi necessari (danno emergente)”.

Nel caso esaminato i ricorrenti si sono limitati a parlare di un generico “disagio” o “stress” da forzata e insopportabile attesa, “fattispecie che, in assenza di una specifica normativa che ne garantisca l'autonoma risarcibilità, non trova riconoscimento risarcitorio nell'ordinamento positivo”. La Suprema corte conferma dunque la lettura della Corte d'Appello secondo la quale “il danno non patrimoniale derivante dalla lesione dei diritti inviolabili della persona è risarcibile a condizione che l'interesse leso abbia rilevanza costituzionale, o autonomo fondamento normativo sovranazionale in questa sede non esistente, che la lesione dell'interesse sia grave (nel senso che l'offesa superi la soglia minima di tollerabilità imposta dai doveri di solidarietà sociale), che il danno non sia futile (e, cioè, non consista in meri disagi o fastidi) e che, infine, vi sia specifica allegazione del pregiudizio subito, non potendo assumersi la sussistenza del danno in re ipsa”.

Per i giudici di legittimità però “la perdurante attualità delle questioni trattate” è una buona ragione per compensare le spese del giudizio.

2024-07-26T18:19:03Z dg43tfdfdgfd