LE MIGLIORI AZIENDE PER LE DONNE: ECCO LA CLASSIFICA DEL 2024

Quasi dieci punti percentuali in più in termini di senso del rispetto, dell’equità e dell’orgoglio verso la propria azienda. In un periodo storico di turnover e insoddisfazione sul lavoro, le aziende selezionate come Best workplaces for women per il 2024 da Great place to work hanno saputo costruire un ambiente di lavoro dove tutti si sentono più ingaggiati. E dove le donne fanno più carriera e sono più felici. Sono venti le aziende entrate in short list e tre quelle a salire sul podio: Teleperformance, Biogen Italia e American Express.

Sono quasi quattrocento (397) le aziende analizzate, la metà quelle pre-selezionate (211) e 20 quelle entrate nella classifica dei migliori posti di lavoro in termini di diversità e equità di genere. La classifica è stata redatta utilizzando, tra gli altri, due strumenti di analisi: il Trust index, metodologia sviluppata da Great place to work, e il Parity index.

Il primo si basa su un questionario che mette in relazione la qualità di un ambiente di lavoro con il grado di fiducia al suo interno, indagando cinque aree: le tre dimensioni che misurano la relazione di fiducia reciproca tra management aziendale e collaboratori (credibilità, rispetto ed equità), il rapporto di orgoglio per il proprio lavoro e per l’organizzazione di cui si fa parte, e la relazione con i colleghi (coesione). Il Parity index invece è stato sviluppato per misurare il grado di benessere e soddisfazione delle lavoratrici, attraverso una serie di domande specifiche: dalla possibilità di assentarsi dal lavoro per necessità personali, alla parità salariale, passando per la trasparenza e la meritocrazia riconosciuta sia in nei rapporti professionali quotidiani che in fase di avanzamento di carriera.

Nelle aziende Best workplaces for women il tasso di rispetto (84 contro il 77% di quelle non presenti nella classifica) ed equità (83 contro 77%) è di dieci punti percentuali superiore rispetto alle altre imprese. La cultura aziendale fa la differenza? «Sì – spiega Gaia Morselli, head of consulting services di Great place to work Italia - possiamo dire che le nostre analisi dimostrano come la cultura faccia la differenza, e la faccia soprattutto su due aspetti principali: il benessere organizzativo (o wellbeing) di cui tanto si parla oggi nelle aziende, che è il principale tema analizzato dalla dimensione del rispetto, e l’equità, aspetto fondante e necessario perché tutti, indipendentemente da chi sono, da quale background abbiano avuto e dalle caratteristiche personali, possano emergere sulla base delle proprie esperienze e di quello che dimostrano di sapere fare. Gli aspetti di conciliazione, attenzione alle persone, benessere psico-fisico, welfare e possibilità di partecipare (temi del wellbeing) e la reale meritocrazia, scevra da pregiudizi inconsapevoli, sono dunque le caratteristiche più importanti su cui lavorare per creare culture che facciano davvero la differenza in termini di parità di genere e inclusività a 360 gradi».

Le aziende in classifica possono contare su una grande maggioranza di collaboratori e collaboratrici (85%) ingaggiati - in base al Trust Index - contro una media italiana del 52% e l’87% di loro è pronto ad affermare che il loro è un “eccellente luogo di lavoro”. Nelle aziende classificate Best workplaces for women in particolare le donne sono più soddisfatte degli uomini in ciascuna delle cinque aree del modello Great place to work - cioè credibilità, rispetto, equità, orgoglio e coesione – e anche la media Trust index è superiore di tre punti percentuali rispetto a quella maschile.

In maniera speculare e contraria, invece, nelle altre aziende analizzate le donne sono più critiche degli uomini in ciascuna delle cinque aree, con dieci punti percentuali di scarto. In particolare, nelle aree del “rispetto”, dove è incluso anche il tema del bilanciamento vita-lavoro (75% rispetto all’85%) , e dell’ “equità” – che include l’equità retributiva, l’inclusione e la non discriminazione (74 versus 85%) – lo scarto rivela una significativa differenza di quanto le donne si sentano parte integrante dell’organizzazione e possano contribuire in maniera serena e meritocratica al suo funzionamento. Un dato emblematico su tanti: le collaboratrici delle migliori aziende per la diversità e l’inclusione ritengono di aver avuto maggiori opportunità di portare innovazione all’interno della propria realtà organizzativa (85%), un dato decisamente superiore rispetto alle colleghe delle altre aziende (79%). E questo le porta ad essere delle vere e proprie ambassador (85%): collaboratrici che credono fortemente nell’azienda e nelle persone che la compongono, desiderando continuare a lavorarci e non risultando, dunque, a rischio uscita, una motivazione decisamente superiore rispetto a quella riscontrata nelle altre aziende (77%, 8 punti percentuali in meno).

Un senso di soddisfazione e fiducia che le permette anche di “farsi avanti” e di avere percorsi di carriera più meritocratici: nelle aziende Best workplaces for women il management è composto da donne per il 42%, mentre nelle altre aziende analizzate solo il 25% del management è donna. Una maggior presenza femminile che a cascata si riflette in tutti i livelli aziendali: nelle migliori aziende in classifica c’è un numero di donne in organico (57%) che è significativamente superiore rispetto alle altre (42%).

«Credo -precisa Morselli - che si possa parlare di un mix tra organizzazioni che sostengono, anche attraverso strumenti di supporto professionale, percorsi di crescita ad hoc e formazione, la leadership al femminile e una cultura inclusiva, con esempi positivi di donne ai vertici, che permette di superare la sindrome dell’impostore, che sembra spesso essere un freno più diffuso nel mondo delle donne manager rispetto ai colleghi uomini». Senza dimenticare il tema fondamentale dell’equità: «Non sempre - dice Morselli - è una questione di quante donne si candidano o si propongono per una posizione ai vertici, ma della scelta finale che viene fatta da culture organizzative più “maschili”, dove caratteristiche come l’assertività, in forma anche aggressiva o impositiva, l’approccio decisionale individuale piuttosto che condiviso, e uno stile di leadership forte e autorevole (che può anche sfociare nell’autoritarismo) vengono considerate proprie dei leader carismatici». Al contrario, laddove la cultura organizzativa è più attenta alle persone, aperta al dialogo e all’ascolto, considera la partecipazione e il confronto un valore generativo di innovazione e miglioramento e dà fiducia alle persone, aggiunge, «è più facile che i modelli di leadership siano indipendenti rispetto al genere, ma anche rispetto alla generazione e alle altre caratteristiche individuali, andando a scegliere come manager e top manager figure molto differenti dal classico maschio bianco caucasico ultracinquantenne che così spesso ritroviamo nei consigli di amministrazione delle aziende italiane».

Tra le 20 classificate nel 2024 c’è un perfetto equilibrio tra piccole, medie e grandi imprese, ma quest’anno c’è da segnalare l’ingresso in classifica di due piccole aziende (10-49 persone).Oltre alla diversità dimensionale, si assiste a una maggiore varietà di settori tra le aziende in classifica, da biotecnologia & farmaceutico ai servici professionali, ma anche manifatturiero e information technology. Anche qui da segnalare due novità importanti: due realtà che operano nel settore delle costruzioni e dei trasporti. «Questo dato è particolarmente rilevante - commenta Sara Carnovali, collaboratrice Gptw e project manager per l’accompagnamento alla certificazione di parità di genere - perché evidenzia come le buone politiche di genere stiano progressivamente permeando la cultura aziendale anche di realtà organizzative in settori tradizionalmente a bassa presenza femminile, che faticavano a competere con altre realtà».

La classifica, aggiunge, «dimostra che non poche realtà organizzative italiane hanno imboccato la strada giusta, quella di un cambiamento virtuoso non soltanto per se stesse ma che produce valore e ricchezza sociale». E questo è particolarmente significativo nel nostro Paese, che nonostante abbia registrato l’incremento più evidente di Gender equality index (+14,9 punti in 10 anni), mostra ancora valori preoccupanti in materia di inclusione lavorativa delle donne (-8,8 punti rispetto alla media europea). «Realtà come le aziende classificate - conclude - dimostrano, invece, che l’inclusione di genere non soltanto è possibile e auspicabile, ma va di pari passo con la crescita aziendale, nella misura in cui attinge e valorizza tutti i migliori talenti».

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