BUFERA SUL NOME MILANO DEL NUOVO SUV COMPATTO ALFA ROMEO

Subito dopo la sua premiere mondiale, Milano, il nuovo suv compatto Alfa Romeo è stato oggetto di una vera e propria bufera che ha investito il gruppo Stellantis. Ad “aprire le danze” - gettando benzina sul fuoco dello scambio di accuse che dura ormai da settimane tra il governo e l’azienda - il ministro delle imprese e del Made in Italy Adolfo Urso, che ha criticato Stellantis per aver scelto un nome italiano per il veicolo, che sarà prodotto all’estero, affermando che la decisione della Casa viola la legge italiana. Milano è prodotta nello stabilimento Tychy di Stellantis in Polonia, ed è la prima Alfa Romeo ad essere realizzata interamente al di fuori dell’Italia.

«Un’auto chiamata Milano non può essere prodotta in Polonia. Questo è vietato dalla legge» ha detto Urso, riferendosi alla legislazione del 2003 che si rivolge ai prodotti dal “suono italiano” che affermano falsamente di essere italiani. «Questa legge stabilisce che non si possono dare indicazioni che inducono in errore i consumatori. Quindi un’auto chiamata Milano deve essere prodotta in Italia. Altrimenti, dà un’indicazione fuorviante che non è consentita dalla legge italiana».

Il CEO di Stellantis Carlos Tavares non ha commentato e si è limitato a ribadire che la produzione del Suv in Polonia piuttosto che in Italia consentirà di ridurre di 10.000 euro il prezzo al dettaglio. Milano è l’unico modello Alfa Romeo impostato per la produzione al di fuori dell’Italia. Tavares ha infatti confermato che le nuove generazioni del Suv Stelvio e della berlina Giulia continueranno ad essere costruite a Cassino.

Al ministro Urso si è unita l’Unione per la difesa dei consumatori (Udicon): «Alfa Romeo, un marchio che evoca la storia e la cultura italiana, si trova al centro di un dibattito che tocca il cuore dell’identità industriale del nostro Paese. La decisione di chiamare un’autovettura con il nome di una città italiana, simbolo di stile e design, pur producendola all’estero, solleva questioni importanti relative al concetto di “Italian sounding”, un fenomeno noto nel settore agroalimentare, ma che ora sembra si stia estendendo anche all’industria automobilistica. Nessuno tollera che un vino prodotto all’estero possa essere venduto come italiano. Questo principio non può limitarsi al cibo, ma deve riguardare tutti i settori. Il marketing deve essere trasparente. Ci domandiamo cosa accadrebbe a livello di vendite se la vettura oggetto di polemiche fosse rebrandizzata “Stellantis Tychy”» spiega Martina Donini, presidente nazionale Udicon. «La questione del ministro Urso è ben posta e fa riflettere. È necessaria un’azione ferma per garantire che il valore attribuito al Made in Italy sia effettivamente meritato e non indebolito da strategie di marketing potenzialmente fuorvianti. Il mercato, chiosa Donini. è tale da far immaginare una “golden power” sui marchi italiani, per assicurare che il Made in Italy continui a essere sinonimo di qualità

inconfondibile e italiana e salvaguardare il nostro patrimonio industriale».

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