SUPERBONUS: QUANDO IL CREDITO SI ‘INCAGLIA’ DIVENTA UN “PASTO” CHE NON SI RIPAGA DA SOLO

Il Paese è in lockdown. Il governo vuole dare un forte impulso alla crescita attraverso il rilancio di un settore, quello dell’edilizia, che sta pagando un prezzo elevatissimo con il fermo forzato dei cantieri. Nel contempo mira ad accelerare la transizione verde, tema caro ai pentastellati e alla sinistra in generale. Viene quindi ideato un incentivo al fine di realizzare – secondo la definizione del decreto legge che lo istituisce nel maggio del 2020 – «specifici interventi finalizzati all’efficienza energetica e al consolidamento statico o alla riduzione del rischio sismico degli edifici».

L’obiettivo è certamente condivisibile, ma lo è (molto) meno lo strumento con cui lo si vuole raggiungere: una detrazione del 110 per cento per cui, in pratica, chi ne usufruisce riceve un rimborso superiore al costo iniziale. La cosa, però, non è considerata un problema. La misura si ripagherà da sola, il premier Conte ne è convinto. Il meccanismo, insomma, è sempre quello del circolo virtuoso: i cittadini ristrutturano le abitazioni, il settore delle costruzioni riparte e, quindi, riparte anche l’occupazione; di conseguenza, le entrate pubbliche aumentano, e l’intera spesa è più che recuperata.

Tuttavia, con questa nuova agevolazione si compie un passo in avanti: l’impatto atteso è talmente significativo che lo Stato può permettersi di restituire ai cittadini una cifra superiore all’esborso. Una magia. Ma allora, davanti a questa vera e propria magia, perché fermarsi alla soglia del 110? Non si poteva essere più ambiziosi e spingersi oltre? Per esempio al 130 per cento? Oppure al 150 per cento? C’è da chiedersi come mai nessuno ci abbia pensato.

In realtà, un motivo per cui un simile provvedimento non esiste in nessun altro Paese al mondo c’è: lo schema appena descritto non funziona, perché presuppone una visione erronea dell’economia. È evidente – lo si è detto in precedenza – che tutte le spese pubbliche, anche il denaro gettato da un elicottero, hanno un impatto sull’economia: le persone prendono questi soldi, li spendono, ci pagano (non tutti, purtroppo) le tasse e l’economia si rimette in moto. Ma questo impatto non può essere duraturo. Il grado di sviluppo aumenta solo in via temporanea, e lo stesso vale per il mercato del lavoro: nella fase iniziale l’occupazione migliora, certo, ma al termine delle ristrutturazioni i neoassunti – con ogni probabilità – verranno licenziati.

Se così non fosse, per crescere basterebbe introdurre un incentivo del 110 per cento per ogni settore. E, invece, spendere non è sufficiente. A questo riguardo, i dati pubblicati dall’Ufficio parlamentare di bilancio parlano chiaro. Nel biennio 2021- 2022 il bonus edilizio ha concorso ad aumentare la ricchezza del Paese di un punto percentuale (circa diciotto miliardi), mentre il costo per lo Stato – che peraltro è permanente, dettaglio da non dimenticare – è stato quattro volte di più (circa settanta miliardi), una cifra mai vista prima per un sussidio che avrebbe dovuto ripagarsi da solo.

Ma non ci si deve sorprendere: la mancanza di un contrasto di interessi, ossia di incentivi a risparmiare («tanto poi paga lo Stato»), ha drogato il mercato, provocando un rincaro dei prezzi dei materiali da costruzione. A danno di tutti, inclusi i cittadini che non hanno usufruito dell’agevolazione. In un certo senso, si può dire che il Bonus 110 per cento è una sorta di patrimoniale al contrario: come illustrato dai giudici contabili nell’audizione alla Commissione finanze nel marzo del 2023, ha favorito «i proprietari più dotati di risorse finanziarie», ma è stato pagato dall’intera collettività.

Un effetto che sorprende, considerato che lo hanno ideato forze politiche – Movimento 5 Stelle e Parti[1]to democratico nonché Italia Viva e Liberi e Uguali – che avevano promesso un fisco più progressi[1]vo. In realtà, tasse più progressive se ne sono viste poche, ma in compenso è stata introdotta la spesa regressiva. C’è un altro aspetto – non di poco conto – che rende la misura un unicum nel suo genere. Lo schema prevede che la detrazione possa essere convertita in un credito d’imposta cedibile in maniera illimitata.

Nello specifico, si può scegliere di trasferirlo a una banca, a terzi, oppure all’azienda che realizzerà i lavori. In quest’ultimo caso, si ottiene uno sconto in fattura, e sarà poi l’azienda stessa a adoperare il beneficio. Qui, però, la faccenda si complica. Per poter cedere il diritto è necessario trovare qualcuno che, per usare un termine tecnico, disponga di una capacità fiscale adeguata, ossia che abbia un totale Irpef da versare maggiore della somma inizialmente spesa. In questo modo, le tasse dovute all’erario possono essere compensate con il bonus rilevato. Il circolo, tuttavia, si interrompe nel momento in cui la ricerca non va a buon fine.

Il credito, infatti, si «incaglia», perché chi lo possiede non riesce né a liberarsene né a ottenere il rimborso. Il pasto, cioè, all’improvviso smette di essere gratuito. Quando ce ne si accorge, però, è troppo tar[1]di: ormai i buoi sono scappati, e pure in gran numero. La mole dei certificati «incagliati» diventerà talmente in- gente da richiedere un intervento correttivo, che arriverà con colpevole ritardo. Bisognerà aspettare, infatti, il governo guidato da Giorgia Meloni.

Il leader dei 5 Stelle continuerà, invece, a difendere la bontà della misura, pur vedendosi costretto a riformulare la descrizione fornita fino ad allora. Per quanto riguarda l’aspetto più prettamente economico, in un’intervista del febbraio 2023 spiegherà che il Bonus 110 per cento è risultato privo di costi «non per lo Stato», bensì «per le famiglie». La distinzione lascia davvero perplessi. Chi è stato presidente del Consiglio per ben due volte dovrebbe sapere che le risorse a disposizione dello Stato sono le tasse pagate dalle famiglie.

Pertanto, se il bonus non è gratis per lo Stato, non lo è neanche per le famiglie. Tuttavia, il motivo sottostante alla tesi della gratuità va oltre l’ignoranza dei più elementari princìpi di contabilità nazionale, affondando le sue radici nella filosofia stessa del Movimento, che, di fatto, con l’approvazione del provvedimento, è stata seguita anche dalle altre forze della maggioranza.

Nella mente dei pentastellati, con la cessione illimitata del credito l’agevolazione edilizia doveva diventare una sorta di valuta parallela con cui pagare le tasse. Alla base di questa impostazione vi è l’idea che la moneta possa essere creata e stampata senza limiti. Attenzione, però: non dallo Stato o da una banca centrale, bensì dai singoli cittadini che decidono come e quando farla circolare. Essa diventa così un bene pubblico infinito, come fosse l’acqua alla fonte: non si paga, è inesauribile, rappresenta insomma un meraviglioso pasto gratis.

Che il governo prorogherà nella sua ultima Legge di bilancio, quella del dicembre del 2020, nonostante avesse sempre detto che il Bonus 110 per cento doveva essere temporaneo. Una scelta criticabile non solo sul piano dei costi finanziari, ma anche e soprattutto su quello dell’azzardo morale. Una lezione di educazione civica e di responsabilità personale e collettiva alla rovescia.

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