L’ITALIA DEI NUOVI LAVORI NEL CROCEVIA DELLE TRANSIZIONI

Il lavoro è certamente uno dei pezzi più suscettibili a mutazioni nella condizione umana, poiché riflette e contribuisce alla costante evoluzione della società e della cultura e in questa fase è il crocevia delle transizioni digitale, demografica e ambientale. E la velocità e la profondità della grande trasformazione del lavoro non è mai stata così imponente. Tutte le categorie descrittive e interpretative del lavoro sono, anche per questo sempre più inadeguate. Iniziamo dalle notizie positive. Viaggiamo verso i 24 milioni di occupati. Il tasso di occupazione ha raggiunto il mese scorso il 61,9%. La quota più alta da quando sono sistematizzate le rilevazioni statistiche. In ogni caso ancora il 13% in meno rispetto alla media europea.

Numeri positivi

In un mese ci sono 142mila lavoratori permanenti in più. L’occupazione però cresce solo tra gli uomini e gli over 25. Calano finalmente gli inattivi e i Neet ma anche i lavoratori autonomi. Con uno sguardo sull’anno, il numero complessivo di occupati, a febbraio 2024, supera quello di febbraio 2023, dell’1,5%, pari a +351mila unità. In questa prospettiva l’aumento coinvolge uomini, donne e tutte le classi d’età, a eccezione dei 15-24enni tra i quali l’occupazione è in calo. Il tasso di occupazione sale in un anno di 0,8 punti percentuali. La nuova occupazione è in larga misura tempo indeterminato, in un anno i lavoratori permanenti sono aumentati di 603mila unità. I lavoratori a termine sono scesi di 200mila, gli autonomi sono in calo di 53mila unità. Tuttavia, è importante dare contesto ai numeri. Il nostro paese è di fronte a sfide significative, come il fenomeno del “silver tsunami” con una popolazione che invecchia rapidamente e una diminuzione costante di giovani per la bassa natalità.

Le vere disuguaglianze

In questo quadro il mercato del lavoro italiano è senza dubbio il più diseguale e polarizzato d’Europa. Alta disoccupazione giovanile, basso tasso di partecipazione femminile. E sul precariato cresce in modo sensibile il part-time involontario. In riferimento a quest’ultimo è fondamentale considerare la questione del “lavoro povero” senza limitarla all’insufficienza della retribuzione oraria, ma dovremmo tenere conto anche dell’aumento, specie nel terziario, con persone costrette a lavorare poche ore al giorno con stipendi mensili al di sotto dei mille euro. Quando i salari non tengono il passo con l’inflazione, il potere d’acquisto diminuisce, il che è preoccupante considerando che più della metà dei lavoratori dipendenti ha un contratto collettivo nazionale scaduto. È essenziale concentrarsi sulla crescita della produttività per sostenere i salari, ma anche, come ricordava Ezio Tarantelli, stimolare i salari per aumentare la produttività. Produttività media che in Italia non cresce con gruppi dirigenti che ritengono che il Made in Italy sia attorno al vino e al cacio cavallo ignari dei numeri veri del nostro export manifatturiero che ha il cuore nella meccanica. Mentre sono stati annunciati investimenti per il piano transizione 5.0, è importante tradurre queste promesse in azioni concrete. Per sostenere generazione di tecnologie e competenze e soprattutto il loro trasferimento alle imprese e alle persone, la semplificazione burocratica rimane una priorità.

Le competenze?

Nel nostro paese la questione “competenze” non va oltre la convegnistica. Si consolida il “mismatch formativo” per cui il sistema di istruzione e formazione non consente di acquisire le competenze necessarie per affrontare le incisive trasformazioni del mercato del lavoro, a partire dalle grandi transizioni demografiche, digitali e ambientali. Senza poter dare una valutazione (che prima o poi bisognerà fare) secondo l’Istat il tasso di partecipazione dei 25-64 enni all’attività formativa riguarda il 35,7% della popolazione. Il tasso medio europeo è del 46% (11 punti in meno). Abbiamo il più basso numero di laureati. Il boom di partecipazione agli Its Academy (spesso per carenza di offerta e di informazione su di essa) non vi è stato e siamo ancora al di sotto delle necessità: solo 25.842 iscritti, in Germania sono oltre 900mila. Nonostante qualche miglioramento, sulla dispersione scolastica, secondo i dati Eurostat, siamo al quinto posto per abbandono prematuro nell’UE: l’11,5% dei nostri ragazzi, tra gli 11 e i 24 anni, ben due punti sopra la media europea (9,6%). Il diritto soggettivo allo studio e alla formazione non si sono rafforzati come meritano e in alcuni casi hanno perso forza. È paradossale ma sono diminuiti gli studenti-lavoratori.

Il futuro del lavoro già presente

Il mondo del lavoro sta cambiando. E non solo per l’ascesa nella società dell’intelligenza artificiale (che secondo il Fondo Monetario Internazionale influenzerà quasi il 40% dei posti di lavoro in tutto il mondo), ma anche per le sue modalità di svolgimento (e per le competenze richieste). Solo i Gig-Worker (i lavoratori la cui organizzazione del lavoro (e non solo) è collegata e implementata da una piattaforma digitale). sono circa 28 milioni di persone in Europa (secondo i dati citati dalla Commissione per il 2022) e dovrebbero raggiungere i 43 milioni del 2025. Lo stesso World Economic forum in the future jobs report 2023 ci mostra come, in media, tra le professioni, il ricambio strutturale del mercato del lavoro si stima rappresenterà il 23% dell’occupazione attuale entro il 2027. Una conferma ne emerge leggendo i dati aggregati dell’americana Linkedln (vedi box) sui skill set richiesti dalle professioni: dal 2015 sono cambiati del 25% e si prevede un ulteriore cambiamento del 65% entro il 2030 a livello globale. Anche una piattaforma come Linkedln, con oltre 900 milioni di iscritti in 200 paesi del mondo non rappresenta tutto “il lavoro” ma ci da il senso dei grandi cambiamenti in corso. L’Istat secondo il suo nuovo sistema di classificazione delle professioni, entrato in vigore lo scorso anno (CP2021) identifica 813 unità professionali. In prospettiva alcune spariranno, altre (nuove) se ne aggiungeranno e soprattutto alcune (delle attuali) saranno integrate, supportate, aumentate, potenziate da nuove tecnologie, competenze e nuovi sistemi di organizzazione del lavoro. L’analisi dei compiti che si svolgono in ogni professione e dell’“esposizione” di queste alle nuove tecnologie è migliore traccia per comprendere i trend del nuovo lavoro. Su queste tracce bisognerebbe costruire le politiche di orientamento al (e del) lavoro e dello sviluppo, le nostre sfide educative e di generazione e trasferimento di tecnologie e competenze a imprese e persone.

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