COSA CI INSEGNA IDDU, IL FILM SU MATTEO MESSINA DENARO

Un’idea ci sarebbe in Iddu: raccontare Matteo Messina Denaro e quel mondo in cui si è mosso con due registri diversi. In questo film di Fabio Grassadonia e Antonio Piazza, in cui Elio Germano è Messina Denaro, confinato in un appartamento, nascosto e costretto a comandare da lontano, attraverso dei pizzini, Toni Servillo invece è Catello Palumbo, ex preside uscito di galera e senza più niente, un contatto che la polizia può sfruttare forse per arrivare al boss. Tutte le scene di Elio Germano sono serie, drammatiche, intense; tutte quelle con Servillo sono grottesche, ridicole e di commedia. Non c’è quindi solo la mafia, con la sua organizzazione e i suoi capi, ma anche il mondo siciliano che prospera, campa e vivacchia intorno ad essa.

Questa idea per un film abbastanza ambizioso, che vuole non solo fare un ritratto di un boss ma anche del mondo che rende possibile il suo potere, si scontra con una scrittura molto inferiore a quel che sarebbe servito e (strano a dirsi per Piazza e Grassadonia) con tutta una parte visiva proprio di lavoro sul set che lascia veramente a desiderare. Iddu è un film non solo non riuscito nei propri intenti, ma brutto a vedersi, faticoso da seguire e un po’ inconsistente quando arriva alla fine.

La prima scrittura che fallisce è quella poliziesca, che a un certo punto domina il film e il suo intreccio e dovrebbe condurlo. La parte di trama in cui si cerca un modo di arrivare al boss di mafia usando il ridicolo ex preside. La seconda a fallire è quella più elevata e sofisticata che dà a Matteo Messina Denaro dei toni esplicitamente shakespeariani, cioè da principe, il figlio che vive con il peso di un re (suo padre) morto a cui dover seguire. Sono parti maldestre e così semplicistiche che si rimpiange il lato grottesco del film.

Tuttavia, anche le parti di Servillo non sono amalgamate bene e sembrano venire da un altro film. Invece di integrare i due stili e fare in modo che sembrino parte dello stesso film, Iddu li tiene più separati possibile. Finito il segmento drammatico, inizia quello grottesco, e viceversa. Ma anche volendo considerare questa scelta, tutte le parti più di genere e serie sono messe troppo male in scena.

C’è una poliziotta arrembante e piena di voglia di catturare Matteo Messina Denaro che non è solo scritta male (e interpretata anche peggio!) ma è scritta senza cura. Parla per frasi da poliziesco, piccole sentenze, e le vengono messi in bocca i suoi pensieri perché noi li possiamo capire. A questo si aggiunge il fatto che, essendo un film su personaggi reali, c’è tutta un’esigenza di trucco che è resa malissimo. Se il ridicolo in Servillo è funzionale alla commedia, la maniera in cui è truccato, abbigliato e il registro in cui recita Elio Germano sono il massimo del fasullo, senza che questo straniamento produca qualcosa di interessante. Questo non gli ha impedito comunque di vincere due premi collaterali (cioè non assegnati dalla giuria del festival ma da soggetti esterni alla mostra), il Premio Carlo Lizzani al miglior film italiano e il Premio Mimmo Rotella.

Tutto questo, tutto insieme, e quanto è peggio a cascata (cioè sempre peggio al procedere del film) rendono Iddu una visione faticosissima. In Italia, negli ultimi 20 anni, il cinema e la serialità criminali sono stati così importanti da prendere tante strade diverse, non solo quelle dei prodotti commerciali ma anche alcuni ottimi film d’autore. Quindi è un genere che abbiamo allargato così tanto da contenere tanti tipi diversi di film. Iddu è chiaro che vuole avere un profilo elevato, ma gli mancano totalmente le basi del genere, il concetto di plausibilità all’interno del registro che sceglie e il tono corretto da impostare con gli attori.

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