AGRICOLTURA IN ALLARME: DAL 2025 SARà DIMEZZATO IL PRELIEVO DI ACQUA DAI FIUMI

Se non cambieremo le formule e non investiremo per migliorare le prestazioni dei depuratori, a partire dall’anno prossimo l’agricoltura dovrà dimezzare la quantità di acqua che potrà prelevare dai fiumi. E se il 2025 si rivelasse un anno di siccità come lo fu il 2022, allora si tratterebbe di un grosso guaio per le produzioni agroalimentari made in Italy. A lanciare l’allarme è la sezione piemontese dell’Anbi, l’associazione che riunisce i consorzi di gestione dei bacini idrici, ma la preoccupazione riguarda tutta Italia.

Al centro della questione c’è l’applicazione della normativa europea sul cosiddetto deflusso ecologico, prevista per il 2025. In pratica, per proseguire nel percorso di disinquinamento dei fiumi, le autorità dei bacini dovranno determinare il volume massimo di acqua da prelevare dai fiumi in modo tale che, grazie a una maggior diluizione, la qualità dell’acqua stessa sia migliore. Il tutto, a differenza di quanto accade oggi, senza deroghe. Nemmeno in caso di estati particolarmente torride e siccitose per mancanza di piogge.

Tra i primi a sollevare il problema è stato Mario Fossati, che guida il consorzio Est Sesia ed è anche direttore dell’Anbi Piemonte: «L’acqua dei fiumi - spiega - viene utilizzata dall’industria, dall’agricoltura e dagli acquedotti, ma non c’è scritto da nessuna parte quanta ne deve rimanere nel fiume. Ora invece, in virtù della direttiva quadro, ne dovrà rimanere una quantità determinata». Il motivo è semplice: quanta più acqua resta nell’alveo, tanto più si diluiscono le eventuali sostanze inquinanti e il fiume si riossigena meglio. Il punto è come questa quantità minima viene decisa: «Al momento - prosegue Fossati - le formule sono state stabilite osservando le serie storiche delle portate dei fiumi, e su questa base statistica si è fissata la percentuale minima sulla quota media». Ma questo significa che, in anni di siccità come il 2022, se il regolamento fosse già stato in vigore non si sarebbe potuta prelevare nemmeno una goccia.

Già nel 2019 i consorzi idrici piemontesi avevano avviato invece una sperimentazione per analizzare i corsi d’acqua punto per punto. Al termine dei test erano stati definiti tanti valori diversi di flusso minimo vitale, anziché un’unica media statistica: il risultato è che la somma dei tanti punti dava vita a un valore complessivo sensibilmente inferiore a quello determinato nel modo tradizionale. «Nel 2022 - ricorda Fossati - dovemmo ricorrere alle deroghe, per prelevare più acqua dai fiumi e salvare l’agricoltura dall’assenza di piogge. Con i nuovi coefficienti del deflusso ecologico sarà a rischio il 90% della produzione italiana di riso, che si concentra tra il Vercellese, il Novarese, il Biellese e la Lomellina. Ma a soffrire saranno anche i filari di frutta e le stesse aree non coltivate di interesse naturalistico e turistico».

Resta dunque meno di un anno di tempo per trovare la soluzione: «Una strada - spiega Fossati - può essere quella di investire per migliorare le prestazioni dei depuratori, in modo che sia necessaria meno acqua per il processo di diluizione degli inquinanti nei fiumi. L’altra strada è quella di non stabilire formule a tavolino, ma sperimentare sito per sito, tratto per tratto». La terza via, in caso di siccità, è quella di prevedere ancora la possibilità delle deroghe.

L’allarme lanciato dal Piemonte è già stato raccolto dall’Anbi nazionale: «L’Europa non è idricamente omogenea - sostiene Francesco Vincenzi, presidente nazionale dell’Anbi - e i provvedimenti di tutela della risorsa vanno tarati sulle diverse realtà: le portate ormai torrentizie del Po non sono certo quelle di fiumi come Danubio o Reno».

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