YOUTH (SPRING), A CANNES L'INCUBO DEL LAVORO TESSILE IN CINA

Non c’è paesaggio spaziale, futuro fantascientifico, scenario fantasy, fiabesco o distopico che possa rivaleggiare quanto a impatto con la vista di Zhili fornita da Youth (Spring), provincia cinese a 150 Km da Shanghai, sede di un distretto di laboratori sartoriali di quarta categoria in cui cucire e confezionare in serie pessimi abiti per bambini. “La città sartoriale dei bambini”, la chiamano, e questi laboratori tutti uguali stanno tutti nella medesima strada: Happiness road. Ed è terribile. Così terribile da far sembrare le Vele di Scampia o il Corviale di Roma degli edifici di lusso. La peggior manifestazione della marginalità che può esistere in Cina. Palazzi brutalisti senza nessuna considerazione per la vita quotidiana e le esigenze umane, colate di cemento verticali le cui stanze sono buchi rettangolari dentro la materia dura, con porte d’acciaio e spazzatura mai buttata nei corridoi o sulle terrazze, solo accumulata anche sotto la pioggia. È lì che vivono i ragazzi tra i 19 e 25 anni che lavorano in questo distretto. Vengono da tutte le province intorno, lavorano e dormono in quei palazzi per un periodo e poi tornano a casa. Sono tutti messi alle macchine da cucire vecchio stampo, non macchinari industriali ma artigianali, che sistemano e preparano questi abiti da poco in stanzoni senza finestre. Wang Bing li ha filmati per 5 anni, in diversi laboratori che sembrano uno solo, e ne ha colto una vitalità pazzesca.

Quello che caratterizza Youth (Spring) è infatti l’aperto contrasto tra queste condizioni di lavoro assurde e poi il dinamismo, il divertimento, la voglia di vivere e amare di questi ragazzi combattivi. È esattamente quello che c’è tra il nome Happiness road e poi l’impatto visivo (in strada ci sono cassonetti e macchine coperte, peggio del peggior livello strada di Blade Runner). I compensi arrivano nella forma di blocchi di banconote, poi da distribuirsi, e la retribuzione è rigorosamente a cottimo, questione di centesimi per ogni abito fatto, che gli stessi lavoratori contrattano continuamente, come se il loro lavoro prevedesse anche queste contrattazioni infinite con chi gestisce (ma di certo non possiede) i laboratori.

Youth (Spring) è un documentario da poco meno di 4 ore che a Cannes è presentato in concorso e vanta un impatto potentissimo, anche se la durata fiacca non poco lo spettatore. Vediamo infatti il ripetersi di queste condizioni sempre simili in tutti i laboratori e assistiamo a tante storie diverse. Storie ordinarie di ragazze che devono abortire, altri che vorrebbero sposarsi, altri che non rimorchiano o si odiano o ancora progettano feste. Non ci sono dubbi che Youth (Spring) poteva durare un’ora e mezza e il suo punto l’avrebbe comunque dimostrato, ma non è così che vuole funzionare. Wang Bing è un documentarista abituato a durate da maratona. Tempi lunghi e montaggi di ore, lui funziona con l’immersione (il pubblico magari un po’ meno) per far sentire cosa voglia dire abitare a lungo in questi ambienti squallidi, fino a creare quella strana percezione che il cinema cinese migliore sa stimolare: non l’identificazione con un singolo ma con una massa. Non c’è nessuna storia individuale che emerge, ma il complesso di questi ragazzi che vivono tutti la stessa condizione con le stesse trattative identiche in ogni laboratorio, sono tutti simili nei loro desideri molto comuni, vanno a sbattere contro un lavoro senza senso. Un lavoro che sembra una condanna, per il quale non esistono aspirazioni (non è nemmeno ipotizzabile il possesso di uno di questi laboratori come non sembra nemmeno sognabile un altro lavoro).

Il rumore delle macchine da cucire è continuo e anche se non assordante è un tappeto alienante. La velocità con cui lavorano gli abiti fa temere continuamente per l’incolumità delle dita, ma del resto le loro speranze di guadagno si misurano solo su quello, su quanto possono produrre e poi ovviamente sulla selvaggia contrattazione con la dirigenza, pallida e squallida emanazione di un potere lontanissimo. Sono persone di poco più grandi di loro, con la sigaretta in bocca e brutti bermuda, o alle volte con un fare da imprenditorino di provincia un po’ coatto, sempre impermeabili alle esigenze e al contesto. Uno scontro che sembra avvenire non in un altro luogo del mondo rispetto ai nostri ma in un altro tempo. Servono solo litigate, discussioni e tentativi di retorica per avere più di quello che si ha. In uno di questi laboratori viene mandata sempre avanti la stessa ragazza, perché è la più dura e più brava a trattare, in un altro disturbano il direttore nel momento peggiore e questi li caccia via usando le medesime argomentazioni che si sentono in tutto il mondo (“Non avete voglia di lavorare. Ai tempi miei…”).

Tutto girato rigorosamente in giornate uggiose, così che anche quando i ragazzi sono all’esterno sembra che siano in interno: lo scopo di Youth (Spring) è solo fino a un certo punto quello di documentare. Wang Bing non cerca mai l’obiettività, non gli interessa, seleziona le conversazioni più dure con i superiori (“Abortire è un po’ come quando un cane ti morde e tu lo mordi a tua volta”, dirà uno di questi a un certo punto) perché sta dalla parte dei ragazzi senza esitazioni, perché vuole mostrare in quale mondo queste persone sono costrette a vivere e fare quello che fanno, come molti altri ragazzi in tutto il mondo.

2023-05-26T12:09:40Z dg43tfdfdgfd