UCRAINA, AIUTI AGLI SGOCCIOLI E IL TEMPO STRINGE. PAURE E REGOLE NON POSSONO BLOCCARE L’EUROPA

L’urgenza di garantire il sostegno finanziario all’Ucraina ha mandato in confusione l’Unione europea. Zelensky ha detto che gli aiuti devono arrivare all’inizio del 2026. Bruxelles però non sa cosa voglia dire muoversi in tempi rapidi. D’altra parte, la decisione di Trump di sospendere l’erogazione di 120 miliardi di dollari a Kyiv, risale a marzo scorso. Che si è fatto in questi sette mesi?

«Il pollo più grasso è in Belgio, ma ce ne sono anche altri in giro». Le parole del premier belga, Bart de Wever, valgono come riposta. Il suo governo ha bloccato il prestito di riparazione perché espone il Paese più degli altri membri Ue. La maggior parte degli asset della Banca centrale russa, 140 miliardi di euro, sono immobilizzati nelle banche belghe. Si temono le ritorsioni di Mosca una volta finita la guerra. In effetti altri fondi sono in Francia e Lussemburgo, ma non di grande valore. Quello che non dicono i governi nazionali è che altri fondi sovrani e banche centrali sono depositati in Europa. Questo è un bene per la nostra finanza. Ma se l’Europa decidesse di bloccare le risorse di Mosca, si creerebbe un precedente tale per cui i fondi di Cina, India, Venezuela, Zimbabwe – Paesi a titolo di esempio – smetterebbero di considerarci un sistema bancario favorevole.

Va detto che questi e altri Paesi non hanno fatto nulla di male. Almeno all’evidenza dei fatti. Mentre la Banca centrale russa, con i suoi capitali, ha finanziato la guerra in Ucraina. Quindi è doverono per l’Europa bloccarne i fondi qui depositati. Il tutto senza dire nulla sui conti privati degli oligarchi. Anche quelli sono bloccati, ma proprio perché privati è più complesso trasformarli in crediti di guerra. Dichiarate “untouchable” le ricchezze del Cremlino, il piano B è rimettersi al mercato. Una raccolta fondi potrebbe essere una leva di investimenti e crescita. Anche nella prospettiva dei piani di ricostruzione. C’è anche un dopo la guerra in Ucraina, che richiederà altri sforzi economici. Adesso si sta parlando di cifre ragionevoli. I 140 miliardi per Kyiv, che volendo possono arrivare a 200, non sono nulla rispetto ai 2mila miliardi svincolati dall’Ue nel post-Covid. L’ostacolo è duplice, però.

Lato giuridico, siamo ancora ai puntini di sospensione. L’istituzione più normativa al mondo non sa come definire una linea di credito che dovrebbe essere comunitaria, sostenuta da tutti i suoi paesi membri – senza che nessuno di loro anticipi un centesimo – e garantisca perfino dei ritorni. Sia a Kyiv una volta finita la guerra, sia alla Russia sotto forma di restituzione dei capitali non usati. Lato finanza, si pensa all’emissione di obbligazioni. Queste avrebbero un senso. Risponderebbero al principio draghiano di “debito buono”, per di più comunitario. Per la seconda volta nella sua storia, l’Ue agirebbe come soggetto di finanza pubblica, prima ancora di definirsi come tale. Progetto fattibile sulla carta, meno nella realtà. Come si è detto, a Bruxelles sono lenti.

Una soluzione, magari anche positiva, ci mettono a definirla. Peraltro bisogna che sia chiaro che il debito comune deve sollevare gli Stati membri dall’onere finanziario. Primo, perché alcuni non hanno margine fiscale. Secondo, perché il finanziamento bilaterale è volatile dal punto di vista elettorale. Gli stessi Usa lo dimostrano. Basta che a vincere le elezioni sia qualcuno che con Putin vuole dialogare e vedi che Kyiv si trova senza fondi. Il tempo stringe. Zelensky ha dato gennaio come deadline. Il prossimo Consiglio Ue è in agenda per il 18 o 19 dicembre. L’ordine del giorno non è stato ancora deciso.

2025-11-04T11:59:11Z