SUL BANCO DEGLI IMPUTATI C'è L’AMBIENTALISMO

Ecoattivismo e ambientalismo finiscono in tribunale. Si moltiplicano le cause, civili e non, che vedono contrapposte le ragioni di chi manifesta, anche per il clima, e quelle di chi non si sente responsabile per i fenomeni legati ai cambiamenti climatici o si sente danneggiato dalle proteste.

Greenpeace è al centro di una SLAPP (Strategic Lawsuit Against Public Participation) in corso a livello internazionale, una causa civile contro chi esercita il diritto di critica, informazione o attivismo pubblico. Negli Stati Uniti, la compagnia Energy Transfer ha chiesto oltre 660 milioni di dollari – una cifra che è facile intuire equivarrebbe alla fine, per una organizzazione non profit - a Greenpeace Usa e Greenpeace International per aver denunciato gli impatti del contestato oleodotto Dakota Access. Il primo verdetto della giuria è stato sfavorevole per la ong, si è però in attesa della sentenza definitiva del giudice e in ogni caso l’associazione è pronta a ricorrere in appello. Inoltre, la realtà ambientalista ha fatto già ricorso nei Paesi Bassi sulla base di una normativa anti-SLAPP approvata in Europa nel 2024. Il 2 luglio si è svolta la prima udienza, il processo prosegue.

In Italia è ENI ad aver intentato una causa per diffamazione contro Greenpeace Italia, Greenpeace Olanda e ReCommon: l’azienda accusa di aver creato una “campagna d’odio” nei suoi confronti.

L’odio sarebbe alimentato da un’altra azione legale, avviata nel 2023 da Greenpeace Italia, ReCommon e dodici cittadine e cittadini colpiti dalla crisi climatica contro ENI, il Ministero dell’Economia e Cassa Depositi e Prestiti, la “Giusta Causa”, con cui si chiede di riconoscere le responsabilità dell’azienda nella crisi climatica. È la prima climate litigation italiana: la società civile ha chiesto di riconoscere le responsabilità del comparto fossile per i danni alla salute, alla sicurezza e alle proprietà delle persone, conseguenti al cambiamento climatico. “Abbiamo scelto di portare questa battaglia nelle aule dei tribunali perché oggi sono anche questi i nuovi spazi dell’attivismo”, spiega Simona Abbate, campaigner clima ed energia di Greenpeace Italia.

Enrico Buono, ricercatore postdottorale presso l’Universität des Saarlandes, è uno dei due coordinatori dell’Osservatorio sul costituzionalismo ambientale (OCA) che si occupa di monitorare ciò che succede, dal punto di vista normativo e giuridico, a proposito di ambientalismo e cambiamenti climatici.

“È innegabile che siano aumentate criminalizzazione, repressione e demonizzazione dei movimenti in Italia, si moltiplicano le cause penali e si diffonde un linguaggio sempre più denigratorio contro gli attivisti, definiti spesso ecoterroristi o ecovandali, anche quando sono persone anziane. Una tendenza diffusa non solo in Italia ma anche a livello europeo, nel solco di una certa retorica che strizza l’occhio a una postura incline al negazionismo dei cambiamenti climatici. Allo stesso tempo si accolgono poco alcune richieste pacifiche, esercizio di democrazia deliberativa, come le assemblee cittadine per il clima”, spiega Buono.

Ma perché il clima diventa un “corpo del reato”? “Si ricorre al giudice perché lo Stato è responsabile di non fare abbastanza, ad esempio per abbattere le emissioni. È un grande cambiamento del paradigma tradizionale in cui c’è un nesso di causa-effetto diretta, come nei casi, complessi ma comunque noti, in cui ad esempio un’azienda inquina e prima o poi deve pagare. Si va affermando, a fianco del diritto ambientale, il diritto climatico. Mancano inoltre gli strumenti giuridici, come ad esempio il carbon budget e la legge quadro sul clima, arenata in esame di commissione dal 26 marzo 2024: servirebbe un intervento legislativo organico”, aggiunge il giurista.

E proprio di prevenzione dei danni legati ai cambiamenti climatici, come gli eventi estremi, ieri, 2 luglio, ha parlato anche il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella: “La limitazione dell'impegno dello stato nella copertura di alcune tipologie di calamità derivanti da eventi climatici estremi rende ancora più rilevante la protezione assicurativa, circostanza che non esonera, naturalmente, le istituzioni dagli obblighi della prevenzione”, ha dichiarato.

Prevenire è meglio che curare ma chi lo denuncia rischia, anche grosso. “Le SLAPP, i decreti repressivi contro le proteste nonviolente, le censure mediatiche: tutto contribuisce a ridurre gli spazi democratici – aggiunge Simona Abbate, referente di Greenpeace -. Ma noi continueremo a parlare, a denunciare e a mobilitare la cittadinanza”.

2025-07-04T13:45:33Z