NO ALLA LIBERALIZZAZIONE DEI TAXI: MEGLIO COMBATTERE GLI ABUSIVI PRESERVANDO LA QUALITà DEL SERVIZIO

Nel “Si&No” del Riformista spazio al tema sulla liberalizzazione o meno dei taxi. Favorevole Giuseppe Benedetto, presidente Fondazione Einaudi, secondo cui occorre “superare il sistema delle licenze e aprire il mercato all’offerta“. Contrario Marco Osnato, deputato Fratelli d’Italia, orientato a “combattere gli abusivi preservando la qualità del servizio”.

Qui il commento del parlamentare Marco Osnato:

Quando si discute se e come liberalizzare un settore c’è sempre il rischio di infrangersi contro un muro di approcci ideologici, sia a favore che contro. A ben guardare, in nessun settore il dibattito sulla “struttura del mercato” può essere semplificato in maniera manichea. Ce lo insegna la storia del pensiero economico: Milton Friedman non poteva certo essere accusato di essere nemico del mercato, ma la sua scuola di Chicago è nota anche per aver difeso la legittimità dei profitti acquisiti in assenza di quella chimera chiamata concorrenza perfetta. Qualcosa che non si è mai visto sulla faccia della Terra: perché mai, allora, dovrebbe esistere nel comparto dei taxi?!

Andiamo con ordine. Tanto per cominciare, il nostro è un Paese davvero strano. Si discute da anni se aprire a forme alternative di servizio, come per esempio quella rappresentata da (alcune versioni di) Uber. Eppure, mi sembra che nessun amante della concorrenza abbia mai avuto da ridire sull’esercizio abusivo della professione da parte dei (tanti) signori che ti fermano fuori dalla stazione, mormorando un allusivo “Taxi?” mentre aspetti i servizi di chi – avendo regolare licenza – soggiace a spese e controlli di ogni tipo.

Se si chiede ai veri tassisti perché siano di fatto inerti contro il malaffare, la risposta è sempre la stessa: perché il Comune non fa nulla. Hanno ragione: dovrebbe essere l’ente concessore a intervenire per ripristinare la legalità. Fra i tanti ostacoli fronteggiati dai tassisti regolari, dunque, c’è anche la difficoltà nell’interfacciarsi con le amministrazioni locali (Roma e Milano sopra tutte). Veniamo al nocciolo della questione. Pagare profumatamente una licenza basterebbe, di per sé, a giustificare quello che i paladini della concorrenza tout court definiscono “privilegio”?

Certo che no; non è questo il punto. Se la questione fosse meramente economica, si potrebbe cercare una soluzione come per i balneari: alcuni giorni fa, un esponente della Commissione europea – esprimendo un parere personale – si è detto favorevole a indennizzare gli attuali concessionari che dovessero perdere quanto loro assegnato. La direttiva Bolkestein impone di bandire nuove gare che prevedano regole certe: questo va contemperato, però, con le opportune tutele per una categoria produttiva importante, fondamentale per un Paese a vocazione turistica.

Riguardo alle concessioni dei taxi, tuttavia, gli standard qualitativi – a partire da tariffazione e sicurezza – sono già oggi garantiti, almeno in linea di principio. La disciplina è assai rigorosa, proprio perché la natura stessa del servizio rende l’abusivismo più ‘semplice’ e dunque diffuso. Risolvere integrando gli abusivi nel circuito della legalità è un’utopia, favoleggiata da chi si batte per liberalizzare tutto (a partire dalle droghe leggere) ma non si preoccupa del vero significato della libertà.

Lo scenario alternativo, determinato da un’eventuale liberalizzazione, sarebbe molto deteriore. Non dimentichiamo che Uber opera tranquillamente in Italia, adeguandosi alla disciplina degli Ncc. Resta precluso, invece, il servizio “Pop”: è incompatibile con il ‘controllo qualità’ indispensabile per un servizio di pubblica utilità, così intimamente connesso con la vita e la salute degli utenti.

Dunque cos’ha in mente, di preciso, chi vorrebbe ‘aprire’ il settore? Non è chiaro. E forse il non-detto è determinante: si vuole per caso spingere migliaia di tassisti, strutturati come lavoratori autonomi o soci di cooperative, tra le braccia dei colossi multinazionali? Se qualche autoproclamato liberale fosse a favore di questo scenario, forse dovrebbe rileggere Ronald Coase sull’origine e il significato di un’organizzazione aziendale strutturata.

Bene difendere le imprese. Bene non avere pregiudizi contro le multinazionali, se espandono la libertà di scelta dei consumatori senza diminuirne le garanzie. Ma il regime concessorio deve essere migliorato, a partire da un taglio a tutti quei balzelli che non servono a migliorare il servizio reso. Certo, servirà una disponibilità che spesso la categoria non ha dimostrato in favore di numeri e metodi più attagliati all’epoca in cui viviamo, ma non può essere distrutto tutto diminuendo le certezze tanto per la ‘borsa’ quanto – soprattutto – per la ‘vita’ degli utenti finali.

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