Cambia la Naspi. Sono operativi i nuovi criteri per evitare possibili abusi per ottenere l’indennità mensile di disoccupazione. L’Inps ha chiarito come funziona la stretta introdotta dalla legge di Bilancio. Prevede che l’indennità da quest'anno viene erogata solo se il lavoratore che perde involontariamente il lavoro dopo aver dato le dimissioni dal rapporto precedente ha maturato almeno 13 settimane di contributi nell’ultimo impiego.
«Gli eventi di cessazione involontaria intervenuti dal 1° gennaio 2025 - spiega l'Inps - il richiedente della prestazione deve fare valere almeno tredici settimane di contribuzione dall’ultimo evento di cessazione del rapporto di lavoro a tempo indeterminato interrotto per dimissioni o risoluzione consensuale, qualora tale cessazione volontaria sia avvenuta nei dodici mesi precedenti la cessazione involontaria del rapporto di lavoro per cui si richiede la prestazione Naspi».
La norma esclude dalle ipotesi di cessazione volontaria le dimissioni per giusta causa, le dimissioni intervenute nel periodo tutelato della maternità e della paternità. Tra le ipotesi di dimissioni per giusta causa (non rientranti nella stretta sulla Naspi) rientra anche quella relativa alle dimissioni a seguito del trasferimento del lavoratore ad altra sede della stessa azienda, se il trasferimento non è sorretto da comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive e ciò indipendentemente dalla distanza tra la residenza del lavoratore e la nuova sede di lavoro.
Le novità sono relative alla disoccupazione dal 1° gennaio 2025, data di entrata in vigore della legge n. 207/2024. L'obiettivo della norma è quello di colpire quel fenomeno di dimissioni e rioccupazioni per un breve periodo al solo scopo di far maturare il diritto alla disoccupazione.
In sostanza, la stretta anti-furbetti va a colpire quelle persone che, dopo aver dato le dimissioni da un impiego fisso, si facevano assumere da un’impresa «amica» per poi farsi licenziare a stretto giro al solo scopo di poter richiedere l’assegno di disoccupazione.
Poniamo il caso di un dipendente licenziato dalla sua azienda che nei 12 mesi precedenti si era dimesso o aveva risolto consensualmente il rapporto di lavoro a tempo indeterminato da un'altro datore di lavoro. Se non ha maturato almeno tre mesi (13 settimane) di contributi dopo la cessazione del rapporto con la prima impresa con cui ha lavorato non potrà vedersi riconosciuta la Naspi al termine del rapporto con l'ultima azienda di cui è stato dipendente a meno che non siano passati almeno 12 mesi dal precedente rapporto.
Esistono delle eccezioni. La nuova disposizione, recita l'Inps, «esclude, tuttavia, dalle ipotesi di cessazione volontaria le dimissioni per giusta causa, le dimissioni intervenute nel periodo tutelato della maternità e della paternità di cui all’articolo 55 del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, nonché le ipotesi di risoluzione consensuale intervenute nell'ambito della procedura di cui all'articolo 7 della legge 15 luglio 1966, n. 604, che, ai sensi del comma 2 del medesimo articolo 3 del decreto legislativo n. 22/2015, consentono l’accesso alla prestazione Naspi».
Tra le ipotesi di dimissioni per giusta causa rientra anche quella relativa «alle dimissioni a seguito del trasferimento del lavoratore ad altra sede della stessa azienda, a condizione che il trasferimento non sia sorretto da comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive e ciò indipendentemente dalla distanza tra la residenza del lavoratore e la nuova sede di lavoro».
Inoltre, tra le fattispecie di risoluzione consensuale è altresì «fatta salva l’ipotesi della risoluzione consensuale a seguito del rifiuto da parte del lavoratore al proprio trasferimento ad altra sede della stessa azienda distante oltre 50 chilometri dalla residenza del lavoratore o mediamente raggiungibile in 80 minuti od oltre con i mezzi di trasporto pubblici».
Inps sottolinea inoltre che il nuovo decreto prevede, rispetto all’ordinario quadriennio di osservazione, un diverso periodo di osservazione per la ricerca del requisito delle tredici settimane di contribuzione.
Qualora, infatti, sia presente una cessazione volontaria da un rapporto di lavoro a tempo indeterminato nei dodici mesi precedenti la cessazione involontaria per cui si richiede la prestazione Naspi, la norma prevede che l’assicurato deve fare valere almeno tredici settimane di contribuzione nell’arco temporale che va dalla data di cessazione per dimissioni/risoluzione consensuale del precedente rapporto di lavoro a tempo indeterminato alla data di cessazione involontaria del rapporto di lavoro per cui si richiede la prestazione Naspi.
Sono da considerare utili tutte le settimane retribuite, se rispettato il minimale settimanale, nonché quelle utili ai fini del perfezionamento del requisito contributivo, come precisato nella circolare n. 94 del 12 maggio 2015.
In particolare, si considerano utili: