(questo post è stato scritto insieme a Stela Gazheli – Area Lavoro Unione Italiana Commercialisti)
Oggetto di un dibattito politico infuocato, la legge 26 giugno 2024, n. 86 sull’autonomia differenziata presenta molti aspetti problematici, sui quali occorre fin d’ora riflettere anche se le scelte finali sono rimandate sine die da un iter applicativo estremamente farraginoso e aleatorio. Per come è formulata, infatti, la c.d. legge Calderoli non esclude che possano prevalere scenari assai preoccupanti sia per il buon funzionamento delle pubbliche amministrazioni sia per i conti pubblici.
Tra le materie concorrenti Stato-Regioni ci sono i rapporti internazionali e con l’Unione europea delle Regioni, il commercio con l’estero, le professioni, il coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario, ambiti per i quali l’art.4 della legge prevede che il trasferimento delle funzioni relative a materie diverse da quelle di cui al comma 1, non soggette alla definizione dei livelli essenziali di prestazione (LEP), con le relative risorse umane, strumentali e finanziarie, può essere effettuato dalla data di entrata in vigore della legge, secondo le modalità, le procedure e i tempi indicati nelle singole intese e nei limiti delle risorse previste a legislazione vigente.
Ma quali saranno gli effetti della devoluzione di rapporti internazionali, finanza pubblica, tributi e ovviamente regolamentazione delle professioni economiche sui professionisti dell’area giuridico economica? Per le predette materie esponenti di regioni del Nord hanno manifestato l’intenzione di chiederne subito l’attribuzione in quanto la loro devoluzione non è subordinata alla definizione dei LEP. L’autonomia differenziata, secondo l’art. 9 della legge non dovrebbe costare nulla. Tuttavia i costi aggiuntivi sono quasi certi. I principali dipendono dalla confusione normativa che può emergere in una situazione in cui le regioni hanno competenze diversificate. Vi è anche il rischio di duplicazioni di costi fra lo Stato centrale e le regioni, se solo alcune regioni chiedono l’attribuzione di una determinata materia. Difficile non vedere il rischio che aumenti la complessità e la confusione normativa, con oneri burocratici aggiuntivi per i cittadini e le imprese e per i professionisti che le assistono.
L’Unione Italiana Commercialisti intende avviare una riflessione sugli aspetti che riguardano la devolution delle professioni. Auspichiamo che il ministero della giustizia continui a essere l’unico organo vigilante delle professioni giuridico economiche, mantenendo il ruolo di garante anche degli standard qualitativi ed esprimiamo preoccupazione ove dovesse registrarsi la perdita di queste precipue funzioni con conseguente disomogeneità di interventi legislativi regionali che metterebbero a rischio i riferimenti dei cittadini e la tenuta del sistema. Del resto l’ipotesi di devoluzione alle Regioni della normativa sulle professioni intellettuali dovrà adeguarsi alla giurisprudenza costituzionale che, da tempo, ha chiarito che la regolamentazione delle professioni consta di una serie di materie tutte imprescindibilmente rimesse alla potestà legislativa statale in via esclusiva, senza spazio per la potestà legislativa regionale.
Le professioni intellettuali, per tali motivi, devono continuare a essere riservate alla legislazione dello Stato. Qualsiasi intervento “differenziato” sarebbe idoneo a provocare confusioni e inefficienze, introducendo diversità di esercizi professionali che certamente indebolirebbero la posizione dei professionisti italiani a livello europeo.
Tra le materie suscettibili di autonomia differenziata vi è, per esempio, la tutela e sicurezza del lavoro, che rientra, oggi, nella potestà legislativa concorrente, in questo caso soggetta alla definizione dei LEP. La devoluzione alle regioni di una materia così complessa rischia, tuttavia, di incidere profondamente sul diritto al lavoro quale diritto fondamentale di natura sociale e sull’articolarsi della sua tutela nei diversi livelli di governo. Solo con un corretto inquadramento delle attribuzioni dei pubblici poteri e degli apparati amministrativi e con l’individuazione delle risorse assegnate per lo svolgimento di tali attribuzioni sarà possibile comprendere in che misura, con quale accuratezza e presso quale livello l’ordinamento sia meglio in grado di perseguire la garanzia di tale diritto fondamentale. Commercialisti e consulenti del lavoro sono preoccupati oltre che per i profili di ingiustificate differenziazioni, anche per il super lavoro derivante dalla inevitabile impennata della burocrazia, in controtendenza con tutti gli sforzi di semplificazione profusi negli ultimi anni.
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