(a cura di Emiliano Alessandri)
Il multilateralismo ha assunto storicamente forme molto diverse, dal “concerto delle nazioni” all’ONU, da alleanze come la NATO ad esperimenti quasi federativi come l’Unione Europea. Al di là delle ragioni e circostanze specifiche, alla base delle diverse iniziative vi è stato il rifiuto a considerare le relazioni internazionali come un gioco puramente “a somma zero”.
I momenti di maggiore spinta verso il multilateralismo sono arrivati dopo grandi conflitti armati, quando c’era l’urgenza di costruire un nuovo “ordine” capace di garantire stabilità, direzione e legittimità. È proprio in questo contesto che si inserisce il sistema delle Nazioni Unite, consistendo in una galassia sempre più estesa e specializzata di organismi e agenzie preposti ad affrontare grandi questioni come lo sviluppo economico, la protezione dell'ambiente, etc.
A ottant’anni dalla Carta di San Francisco (26 giugno 1945), quel sistema delle Nazioni Unite appare in rapido sgretolamento. Molti direbbero che esso abbia un destino ormai segnato, avendo tra l'altro fallito nel mantenimento della pace e della sicurezza internazionale, che erano al centro del suo mandato originario. I colpi durissimi inferti dalla seconda presidenza Trump al sostegno allo sviluppo e all’alleviamento della povertà, insieme agli attacchi dell'amministrazione americana all'“ordine europeo” (la NATO e l'UE) acuiscono una crisi del multilateralismo, sia globale che regionale, che è in realtà in corso da molto tempo.
Le ragioni di tale crisi sono molteplici e complesse. E ovviamente variano da caso a caso, con contesti almeno in parziale controtendenza, per esempio un certo dinamismo multilaterale in Africa. Ma volendo semplificare, tre paiono essere le macro cause che hanno interrotto il cammino - ritenuto irreversibile nell'euforia che accompagnò la fine della Guerra Fredda - verso forme di cooperazione sempre più estese e profonde, riflesso di una sempre maggiore interdipendenza.
La prima è stata l’incapacità - o meglio, la mancanza di volontà - di riformare il sistema multilaterale per renderlo più inclusivo. Attori chiave come India, Africa o America Latina, sono ancora esclusi dai centri decisionali dell’ONU. Da qui la nascita di piattaforme alternative come i BRICS, che però hanno finito per frammentare - anziché rafforzare - il multilateralismo.
La seconda ragione, a lungo sottovalutata, è che il principale architetto dell'ordine internazionale del secondo dopoguerra, gli Stati Uniti, si è trasformato negli anni nel suo demolitore. Un gigante alle prese con una crisi della propria leadership, che percepisce le istituzioni internazionali come vincoli imposti da una moltitudine di attori minori decisi a limitarne la libertà d’azione. Questa dinamica è stata esacerbata dalla percezione di un declino economico che ha spinto Washington a rimettere in discussione quella rete di relazioni globali che gli Usa stessi avevano costruito dal 1945 in poi.
Già dagli anni ’70, con la fine del gold standard voluta da Nixon, gli Usa avevano iniziato a smarcarsi dall’ordine multilaterale che avevano contribuito a creare. Negli ultimi decenni, il multilateralismo è stato spesso messo in discussione: dalla risposta militare unilaterale agli attacchi dell’11 settembre, alla mancata adesione alla Corte Penale Internazionale, fino alle posizioni altalenanti sui cambiamenti climatici.
Il ritorno al paradigma della sovranità nazionale, proprio quando essa è strutturalmente erosa dai processi di globalizzazione e dalle sfide “senza passaporto” (cambiamento climatico, etc.) - come le definì l’ex Segretario Generale Onu Kofi Annan -, è la terza grande concausa. Il sovranismo e il nazionalismo sono risposte inadeguate e pericolose - perché incuranti della nostra Storia - a questioni reali e sentite, come il senso diffuso di insicurezza e il rischio di declassamento che vasti strati della popolazione subiscono a causa dell’aumento delle diseguaglianze. A fronte di queste minacce, vi è riluttanza ad affidarsi a istituzioni internazionali considerate come troppo lontane e accusate da alcuni di essere guidate da una ‘ideologia globalista’.
Spesso trascura invece che, per quanto animato da ideali, il multilateralismo ha sempre avuto solide basi pragmatiche. Dietro alla costruzione dell’Unione Europea e altre istituzioni c’è stata una logica realista: proteggere interessi concreti attraverso la cooperazione. Dovrebbe soprattutto essere chiaro che nella misura in cui il multilateralismo è fiorito grazie alla pace, la sua crisi è un campanello d’allarme molto serio. E infatti mentre il sistema multilaterale cade gradualmente a pezzi, i conflitti sono in espansione.
Invece di accettare passivamente questo declino, l’Europa dovrebbe muoversi lungo tre direttrici. Primo: sostenere con determinazione la riforma, ancora possibile, della governance globale, con coraggio e realismo, anche accogliendo alcune critiche (come quella dell’efficienza) sollevate dagli anti-globalisti. Mentre rimarrà arduo modificare significativamente gli equilibri decisionali, rendere più efficienti e adeguati gli strumenti operativi è invece un obiettivo alla portata, da non sottostimare nella sua capacità di rianimare il sistema multilaterale nel suo complesso.
Secondo: difendere con forza il progetto europeo, per quanto imperfetto, come baluardo di una esperienza senza eguali di multilateralismo avanzato che oggi si trova sotto pressione non solo da spinte sovraniste interne, ma anche da una nuova politica di potenza portata avanti da Stati Uniti, Russia e Cina.
Infine, come per le istituzioni democratiche a livello nazionale, serve recuperare la fiducia dei troppi cittadini che vedono il multilateralismo come uno strumento delle elite e per le élite. Qui i diversi soggetti della società civile coinvolti nel multilateralismo, come le tante Ong impegnate nella cooperazione e le fondazioni a vocazione filantropica o internazionalistica, potrebbero svolgere un ruolo di cerniera fondamentale. In assenza di tale cerniera, lo strappo potrebbe nei prossimi anni assumere le forme non tanto di un generico sfaldamento della “comunità internazionale”, ma di un conflitto vero e proprio tra stati ormai incapaci di coltivare e proteggere il bene comune, a partire dalla pace.
2025-06-24T14:03:35Z