COME DISNEY+ STA PROGETTANDO IL SUO FUTURO

Partiamo dalle questioni generali prima di scendere nel particolare (e nell’attualità) e mettiamo per iscritto alcune informazioni che molti dei lettori di questo articolo forse conoscono già. Tranquilli, facciamo presto. Disney+ è la piattaforma di video streaming su abbonamento di The Walt Disney Company, in Italia consente l'accesso a celebri film live action e cartoni animati della compagnia e ad alcune popolari serie TV, anche del passato. La Carica dei 101? C’è. Wall-E? Pure. Darkwing Duck? DuckTales? Idem. Avatar 2? Lo guardate al prezzo dell’abbonamento. Su Disney+ c’è anche l’intrattenimento per adulti di Star: ad esempio la popolare serie TV The Bear, che è arrivata alla sua seconda stagione; c’è anche una categoria che si chiama “drama scandalosi” ad affiancare i thriller e i film sci-fi. Su Disney+ ci sono i film e le serie TV ambientati nell’universo di Star Wars o targati Marvel e altre celebri proprietà intellettuali ottenute grazie all’acquisto della 21st Century Fox - tra cui X-Files, Alien, I Simpson, - un’operazione perseguita nel 2017 per arricchire un catalogo online che, all’epoca, era già nei piani degli executive.

Da una parte quindi c’è Amazon Prime Video, pieno di cult di super nicchia e film assurdi che hanno visto in tre, nascosti tra un John Wick 4 e un Air - La Storia del Grande Salto. Nella mia lista di film da vedere c’è finito L’Ultimo Uomo della Terra, ancora disponibile al momento in cui scrivo questo articolo, film horror fantascientifico del 1964 girato a Roma EUR, una roba che pensavo di non trovare da nessuna parte e invece ho trovato incluso nell’abbonamento. Poi c’è Apple TV+, pochi contenuti ma selezionati, rivolti soprattutto a un pubblico adulto che una volta andava a vedere i film a medio budget, quelli che duravano un’ora e mezza. Li si andava a vedere al cinema, alimentando un flusso che teneva a galla le sale, indipendentemente dall’evento dell’anno o dal successo del singolo blockbuster, di cui oggi, per forza di cose, si discute parecchio e magari con apprensione.

Con alcuni risultati deludenti nella recente offerta di Netlifx e soprattutto con il moltiplicarsi delle piattaforme si è aperta una resa dei conti in un segmento di mercato apparentemente troppo affollato. Netflix, Disney+ e gli altri devono diventare profittevoli. È stata soprattutto la prima a perorare la causa dell’online e ad abbattere, riuscendoci, le barriere all’entrata degli spettatori e degli addetti ai lavori, che consideravano lo schermo di un dispositivo un punto d'arrivo non all'altezza del "Grande Cinema". Netflix è stata anche la prima azienda a tentare nuove strade per la riconversione dalla crescita di abbonati a quella dell’utile, e la sua traccia sarà seguita da Disney+. Ci arriviamo tra un attimo.

Prima è utile mettere a confronto Disney+ e Netflix, per provare a capire in cosa sono sovrapponibili e in cosa no. Al secondo si possono attribuire ambizioni plebiscitarie, offrire tutto per tutti i gusti, almeno finché i gusti non si fanno molto specifici. Disney+ sembra invece voler far leva soprattutto sulle famiglie, la qual cosa è nel DNA della compagnia, e su alcune proprietà intellettuali di successo. Le proprietà intellettuali sono, in parte, il punto debole della enne rossa, che ha tentato di alimentare uno star system e una serie di franchise internamente, senza però riuscirci davvero nella parte che riguarda i film: la scelta di espandere, con sequel, spin-off o serie TV, è ricaduta su The Gray Man o Red Notice. Probabilmente Netflix ci proverà anche con Rebel Moon, lo Star Wars di Zack Snyder, in uscita alla fine di quest’anno. I primi due non sono esattamente film indimenticabili; sono stati molto guardati, certo, ma non sembrano aver attecchito nell’immaginario collettivo. Sulla questione delle proprietà intellettuali di Disney torniamo tra poco, per il momento precisiamo che Netflix e Disney+ sono invece assimilabili sul piano della strategia aziendale. Non è una questione puramente tecnica. Al contrario, ha potenziali ricadute sulle nostre tasche: significa che pagheremo di più.

A novembre dello scorso anno, Bob Iger, che ha guidato The Walt Disney Company dal 2005 al 2020, è rientrato dalla pensione (aveva 71 anni) per rimettersi alla guida della multinazionale almeno fino alla fine del 2026. Il contesto è caratterizzato da una contrazione del business della TV via cavo statunitense, dove Disney è presente con ABC e 15 canali tra cui ESPN, Disney Channel, FX, Freeform e National Geographic. Una diminuzione delle perdite nel settore dello streaming avrebbe dovuto mantenere in equilibrio i conti, ma la profittabilità dell'online è diventata, al momento, un obiettivo da realizzare entro la fine del 2024, mentre Iger, in luglio, ha detto che la TV via cavo potrebbe non rappresentare più il segmento "core" della compagnia, parole che sono state parafrasate così: Disney potrebbe presto vendere i suoi asset televisivi. Nei conti del terzo trimestre la compagnia di Topolino ha visto diminuire perdite del business associato allo streaming, che comprende Hulu, ESPN+ e Disney+. È il risultato di alcune scelte che da poco riguardano anche l'Italia.

Da novembre, è disponibile anche in Italia l’abbonamento a Disney+ con le pubblicità, che alle piattaforme di streaming frutta più soldi per singolo utente rispetto all’abbonamento cosiddetto ad-free. Conviene quindi dirottare quanti più abbonati possibili sulla fascia con gli spot, attraverso una politica di aumenti che, nel caso di Disney, si è realizzata tramite l'introduzione di due altre tipologie di sottoscrizione, entrambe senza spot, le fasce definite standard (FullHD, 2 dispositivi connessi contemporaneamente, possibilità di download) e premium (4K, quattro accessi simultanei, sì al download). Standard e premium costano 9 e 12 euro rispettivamente, ma premium offre gli stessi vantaggi che il precedente abbonamento "unico", in piedi fino a ottobre, offriva a 9 euro. Significa che i vecchi utenti sono stati messi nella condizione scegliere se pagare di meno, ma con le pubblicità; la stessa cifra, ma rinunciando alcuni vantaggi; o tre euro in più, mantenendo gli stessi vantaggi di prima.

Le altre due direzioni in cui la compagnia si sta muovendo, entrambe con un impatto sui privilegi degli abbonati, riguardano la riduzione dei costi, già in atto, e una limitazione alla condivisione delle password, per il momento solo sulla carta. Nel primo caso, si è trattato, tra le altre cose, di ritirare alcuni programmi poco guardati: Il mondo secondo Jeff Goldblum, Y: L’Ultimo Uomo, Stoffa da Campioni - Cambio di Gioco, Turner e il Casinaro - La Serie, la serie TV di Willow, Maggie, Dollface e Un’Altra Scatenata Dozzina, solo per limitarci a una tornata del 26 maggio. Per quanto riguarda la stretta sulla condivisione degli account non appartenenti allo stesso nucleo, Disney guarda con fiducia ai risultati ottenuti da Netflix con la stessa misura, che sono buoni: da luglio a settembre 2023 il primo servizio per numero di abbonati ha aggiunto 8,76 milioni di sottoscrizioni in tutto il mondo, superando di oltre tre milioni le stime di Wall Street e generando profitti per 1,68 miliardi di dollari nel trimestre, a fronte di ricavi pari a 8,54 miliardi. L’azienda con sede a Los Gatos ha accennato alla stretta per la prima volta alla fine del 2022, passando ai fatti non prima di maggio; Disney ha reso pubbliche intenzioni analoghe alcuni mesi fa, individuando il 2024 come l’anno della svolta, ma da novembre ha già cominciato in Canada.

Chissà se gli spettatori di Disney+ dimostreranno un comportamento più liquido, ma la questione potrebbe essere anche un’altra, ovvero la tenuta di ciò che caratterizza l’offerta di Disney+, e con questo ci riferiamo alle prestigiose proprietà intellettuali. C’è stata un’epoca in cui gli adattamenti live action dei film animati degli anni Novanta, come ad esempio quelli di Aladdin o del Re Leone, portavano al cinema i genitori che accompagnavano al cinema i figli. Il risultato è stato quello di alcuni blockbuster dimenticabili secondo la critica ma premiati dal pubblico, quindi in grado di raccogliere incassi stellari. Quest’anno è arrivato nelle sale il film live action della Sirenetta, che ha finalmente messo d’accordo la critica con il pubblico: i recensori lo hanno smontato, gli spettatori se ne sono tenuti abbastanza alla larga, facendo registrare incassi pari a meno della metà di quelli del Re Leone o di La Bella e la Bestia con attori veri. James Cameron ha vinto la scommessa di Avatar: La Via dell’Acqua, che ha raccolto 2 miliardi e 213 milioni di incassi a livello mondiale, mettendo al sicuro i sequel fino alla quinta pellicola della saga. I ricavi del kolossal in CGI sono ancora più sorprendenti se si considera che Avatar 2 è svanito dall’immaginario collettivo più velocemente del suo sequel, che almeno aveva tenuto, se non sul lungo, sul medio termine, con la copertura dei notiziari e tutte quelle storie sulla depressione delle persone che riflettevano sul gap tra il mondo reale e Pandora.

I cinecomic non se la passano molto bene, come The Marvels ha dimostrato una volta di più, non si capisce se per la scarsa qualità di alcuni film mandati al cinema negli ultimi mesi o perché il pubblico, alla fine, comincia a stancarsi. Di Star Wars sono stati messi in pausa i film, sembra fino al 2026, mentre le serie TV continuano a uscire ed essere annunciate senza grande clamore, almeno prima di Ashoka, e sembrano ogni volta più ripiegate su chi già ci sta dentro. L'impressione è che stiano diventando una roba un po' da iniziati. In tutto questo sto cominciando a rivalutare Star Wars: Il risveglio della Forza, ma per il motivo sbagliato. J. J. Abrams ha anticipato l’approccio cauto e citazionistico che anni dopo sarebbe diventata la scuola quando si tratta della riesumazione di un grosso franchise. Episodio VII è praticamente un remake che non abbiamo visto arrivare, estremizza e mette in risalto la pratica successiva e fin troppo perseguita di strizzare l’occhiolino ai fan e imbastire sceneggiature poco coraggiose che non entusiasmano, certo, ma neanche fanno arrabbiare nessuno. L’anno del Barbenheimer, dei risultati deludenti di Indiana Jones 5 e Fast X, del successo del film animato su Super Mario e della fiacchezza di alcuni supereroi ha inviato segnali contraddittori, ma una delle letture potrebbe essere che il pubblico sta dimostrando segnali di stanchezza rispetto alle iterazioni di un franchise o quantomeno rispetto a un certo modo farle. Che dietro alcune di queste operazioni ci sia Disney è la parte che ci interessa ai fini di questo discorso.

2023-11-20T11:57:35Z dg43tfdfdgfd