Viviamo in un’epoca dove la tecnologia è parte integrante della nostra vita: ogni giorno compiamo operazioni di ogni genere sul cellulare o al computer, sia nell’ambito lavorativo che in quello della vita privata. Tutti i nostri dati, le nostre password e se vogliamo anche i nostri ricordi sono ormai digitalizzati, con tutto ciò che questo comporta.
C’è una serie TV che si è proposta di indagare il nostro rapporto sempre più stretto con la tecnologia: si chiama Black Mirror, fino ad ora conta cinque stagioni e nel 2018 ha persino dato vita a un lungometraggio su questo tema. E non si tratta di un semplice film con trama e attori: lo spettatore viene chiamato a compiere scelte ben precise che influenzano la storia, i suoi svolgimenti e persino il finale.
Avete già visto, o sarebbe meglio dire “sperimentato”, il film di Black Mirror?
Prima di parlare del film di Black mirror in sé, è opportuno approfondire la natura del programma da cui ha origine, soprattutto nel caso in cui qualcuno non sappia bene di cosa stiamo parlando. Black Mirror è una serie TV che nasce nel 2011 e che ottiene ben presto un grandissimo successo di pubblico e critica per le tematiche trattate, quasi tutte legate ai problemi dell’uomo moderno in relazione alle nuove tecnologie.
Caratteristica aggiuntiva che ha fatto la fortuna di questo prodotto è il suo essere antologico, ossia presentare ad ogni puntata trama e interpreti totalmente diversi: ciò ha permesso di affrontare tante situazioni differenti e di permettere allo spettatore di fare il pieno di storie estremamente stimolanti. In aggiunta, il numero esiguo di puntate per ogni stagione (dalle 3 alle 6) ha permesso agli sceneggiatori di ragionare al meglio sul materiale da proporre.
In conclusione, qual è il senso di Black Mirror? La serie si propone di far riflettere chi la guarda sul nostro rapporto con le più diverse tecnologie, proponendo situazioni assurde e distopiche che portano volontariamente all’estremo concetti che ci riguardano molto da vicino come l’uso dei social, la vita online, l’alienazione, la dipendenza dalla TV e molto altro. Lo stesso titolo Black Mirror altro non è che un riferimento allo schermo nero di tutti i nostri dispositivi una volta che li spegniamo: l’unica cosa che rimane da vedere su uno schermo nero è il nostro riflesso, ciò che siamo davvero.
Ora che avete ben chiare le intenzioni della serie tv, viene naturale pensare che il film di Black Mirror non potrebbe che essere un prodotto lineare. Il film ruota attorno alle vicende di Stefan Butler, un giovane programmatore che vive nell’Inghilterra del 1984 e che sta cercando di progettare un videogioco interattivo basato sul librogame Bandersnatch di Jerome F. Davies.
Quest’ultimo è stato un visionario scrittore che, in seguito a una crisi di nervi scaturita dall’impossibilità di completare tutte le trame immaginate, uccide sanguinosamente la moglie imbrattando le mura di casa e disegnando un glifo che raffigura una biforcazione. Lo stesso Stefan, in cura presso una terapista, inizia ben presto a sviluppare allucinazioni e paranoia, vittima non solo del suo presente angoscioso ma anche di un passato pieno di rimorsi e dolore.
Ma come entra in gioco lo spettatore in questo film di Black mirror? Compiendo una serie di scelte: nei punti cruciali del film allo spettatore vengono proposte 2 opzioni e deve sceglierne una entro 10 secondi; in base alla scelta, la trama si sviluppa in maniera differente e così la durata dello stesso film, che varia da un minimo di 40 minuti a un massimo di 2 ore e mezza. Secondo la stessa Netflix i finali possibili scaturiti dalle varie combinazioni sono 5, ma il produttore Russell McLean identifica in totale 10 o 12 segmenti diversi, anche se alcune sequenze sono meno “conclusive” rispetto ad altre.
Ormai è passato qualche anno dall’uscita del film di Black mirror, e se fate parte di quella categoria di persone che “giocarono” a questo film appena uscito ricorderete come abbia fortemente polarizzato l’opinione pubblica, divisa tra chi ha trovato questo format piuttosto noioso e chi invece ha celebrato finalmente l’uscita di un prodotto fuori dalle righe.
Ciò su cui non si può discutere è che quantomeno i produttori abbiano provato a proporre qualcosa di nuovo, che rende gli spettatori protagonisti (seppur con degli ovvi paletti) e in qualche modo autori del film a modo loro: difficile annoiarsi mentre si esplorano tutte le possibilità offerte dai vari percorsi, anche se può certamente rimanere un po’ di amaro in bocca per la semplicità o la prevedibilità di alcune soluzioni del pacchetto.
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