ANTONIO DI FRANCO: “IL NUOVO DECRETO SULLA SICUREZZA DEL LAVORO? NON SALVERà NESSUNA LAVORATORE”

Negli stessi giorni in cui a Roma un operaio di 66 anni ha perso la vita restaurando un edificio storico, il governo ha presentato il nuovo Decreto legge sulla salute e la sicurezza sul lavoro. Un provvedimento atteso, ma che secondo la Fillea Cgil lascia irrisolti i nodi strutturali della sicurezza sul lavoro. Ne abbiamo parlato con Antonio di Franco, segretario generale del sindacato degli edili, che invita ad andare oltre le reazioni di rito e chiede interventi capaci di incidere davvero sulla prevenzione e sulla giustizia per i familiari delle vittime. Di Franco spiega cosa funziona e cosa no del decreto, e quali strumenti mancano per fermare una strage che conta più di mille morti l’anno.

Che cosa è emerso dal confronto col governo?

“Abbiamo ribadito le nostre proposte, soprattutto alla luce del nuovo decreto sicurezza. Per noi è un decreto incompleto: non affronta davvero i nodi strutturali della salute e sicurezza sul lavoro. L’unico passo avanti potenziale è il badge di cantiere, una battaglia storica degli edili. Ma perché sia utile bisogna riempirlo di contenuti: verificare gli attestati formativi, i contratti applicati, l’orario di lavoro. Senza questi elementi rischia di essere solo la versione digitale di ciò che già esisteva”.

C'è appena stato un incidente mortale a Roma, con la scomparsa del povero Octav Stroici. Quanto incide questo sul dibattito?

“È una giornata complicata per tutti. Quando accadono fatti così gravi, il cordoglio non basta più: serve responsabilità. In un cantiere pubblico, nel centro di Roma, un operaio è morto mentre contribuiva alla tutela di un bene storico. È difficile non riconoscere una morte così come una “vittima del dovere”. Per questo chiediamo di ampliare la legge attuale, garantendo tutele concrete ai familiari dei lavoratori morti sul lavoro. Questo riconoscimento li inserirebbe nelle categorie protette previste dalla legge”.

Nel vostro intervento insistete anche sulla necessità di una Procura nazionale dedicata ai reati di sicurezza. Perché?

“Perché oggi i processi arrivano dopo tre, quattro anni, quando arrivano. Molte procure non hanno uomini o competenze per gestire casi complessi. Secondo noi, una Procura nazionale, come quella per le mafie, consentirebbe specializzazione, rapidità e uniformità nelle indagini. Farebbe la differenza non solo per ottenere giustizia, ma per prevenire altri infortuni. Un esempio: se si chiarisse rapidamente cosa ha causato il crollo di ieri a Torre dei Conti, le stesse misure di prevenzione sarebbero applicabili in tutti i cantieri simili, subito”.

Il decreto però non accoglie questa proposta.

“No, e secondo noi è un’occasione mancata. La riforma della giustizia avrebbe potuto introdurre gratuito patrocinio per le famiglie delle vittime e una liquidazione provvisionale dei danni: oggi chi perde un familiare spesso rinuncia a perizie o avvocati perché non ha risorse. Sono aspetti che incidono sulla vita reale delle persone”.

Parliamo di subappalti, uno dei temi su cui siete più critici. Cosa non funziona?

“Con il nuovo codice degli appalti il subappalto è stato liberalizzato e può scendere a cascata per diversi livelli. Ogni soggetto nella catena deve ottenere un margine, e l’ultimo anello – quello che poi lavora davvero – spesso risparmia su diritti e sicurezza. Il risultato è una pressione al ribasso che danneggia i lavoratori ma anche le piccole e medie imprese sane, che competono sulla qualità e non possono reggere questo sistema”.

Eppure nel decreto si parla di un rafforzamento della vigilanza.

“Sì, ma il problema non è solo “quanti ispettori”. È come li si coordina e come li si retribuisce. Gli ispettori fanno un lavoro complesso, spesso rischioso, e oggi sono pagati poco. Inoltre i diversi enti ispettivi non dialogano abbastanza tra loro. Senza coordinamento, la vigilanza non diventa davvero efficace”.

Torniamo al badge di cantiere. A oggi serve già a qualcosa?

“Così com’è nel decreto, no. Va definito. Noi però abbiamo già sperimentazioni efficaci – nei cantieri del sisma 2016, a Firenze, Reggio Emilia, Latina – attraverso il sistema delle casse edili. Lì il badge controlla formazione reale, contratto applicato, orario di lavoro. È uno strumento utile se impostato così. Per questo chiediamo un confronto col governo”.

E lo avete avuto?

“Al momento no. Fino ad ora non abbiamo riscontrato una particolare attenzione da parte delle istituzioni al ruolo dei corpi intermedi. Ma confrontarsi con chi lavora ogni giorno nei cantieri sarebbe utile”.

Parlate molto del tema della qualificazione delle imprese. È la vera alternativa alla patente a crediti attuale?

“Sì. La patente a crediti non ha inciso: poche imprese l’hanno richiesta, e quasi nessuna è stata sospesa. Serve invece una legge che valuti storia aziendale, formazione, rispetto dei contratti, investimenti, parametri di qualità. Premiare le imprese sane, non solo sanzionare quelle inadempienti. In molti paesi europei funziona così”.

Un altro elemento che emerge è la diffusione del lavoro nero.

“È un nodo enorme. L’Istat parla di tre milioni di lavoratori full-time in nero. Dove c’è nero non c’è sicurezza. Non parliamo solo di mancanza di controlli: spesso un infortunio grave non viene nemmeno registrato. E il decreto, su questo fronte, non interviene”.

Se dovesse indicare una sola priorità assoluta per fermare la “strage” delle morti sul lavoro?

“La Procura nazionale. Sapere subito cosa accade quando avviene un infortunio mortale. Applicare le stesse misure preventive dappertutto. E garantire giustizia in tempi ragionevoli ai familiari. Senza questo, rischiamo di continuare a muoverci tra cordoglio e retorica, senza incidere davvero sulle cause”.

Cosa dovrebbe succedere adesso, dopo l’ennesimo “incidente”?

“Bisogna partire dall’usare le parole giuste – non “incidente”, non “morte bianca” – e accertare le responsabilità in tempi rapidi. Bisogna pensare ai familiari, agli strumenti che servono loro, e alle misure che possono evitare che casi simili si ripetano. È una questione di rispetto verso chi ha perso la vita lavorando per tutelare beni comuni del Paese”.

2025-11-05T13:45:33Z