Anche nell’ultimo romanzo Tatà (edizioni e/o, come tutti i suoi libri) Valérie Perrin racconta una storia che ha a che fare con tombe e cimiteri, protagonisti indiscussi di Cambiare l’acqua ai fiori, caso editoriale da oltre 3 milioni di copie che presto diventerà un film di Jean-Pierre Jeunet, il regista di Il favoloso mondo di Amélie. Eppure, il lettore da subito è investito da un’onda vitale di eventi inaspettati, misteri di famiglia, amori e resilienza, che è poi la cifra distintiva della scrittrice francese, moglie di Claude Lelouch. Una trama tinta di giallo che prende il via quando Agnès, una regista in crisi e con il cuore spezzato, riceve la notizia che sua zia Colette è deceduta. Il punto è che “tatà” (zia), da cui passava le estati da piccola a Gueugnon, in Borgogna, è morta da tre anni. Cosa è successo? Per capirlo Agnès tornerà nei luoghi della sua infanzia dove scoprirà che Colette ha registrato per lei delle audio-cassette in cui le racconta la sua verità, piena di colpi di scena e rivelazioni. Nel mondo fantastico di Perrin, infatti, spesso i segreti dei morti si intrecciano con le emozioni dei vivi. Ne abbiamo parlato con lei di passaggio in Italia.
Tatà è un romanzo che contiene tante storie. Qual è stata l’idea da cui tutto è iniziato?
Più che un’idea è stata una parola. Mi trovavo in una piscina comunale e ho sentito un bambino urlare: “tatà!”. È partito da lì. Mi sono detta: voglio creare una donna, si chiamerà zia Colette, vivrà a Gueugnon, dove sono cresciuta, e farà la calzolaia, perché c’è qualcosa di molto bello nel lavoro degli artigiani. Sembrerà una donna semplice, non sposata, senza figli, una vita ordinaria. In realtà, però, sarà tutt’altro e custodirà molti segreti, che racconterà a un’altra donna. E tutto questo è successo prima ancora di scrivere Tre (il romanzo precedente). Penso ai miei romanzi con largo anticipo.
Quanto tempo ci mette in media a scrivere un romanzo?
Per Tatà mi ci sono voluti circa quattro anni. E al prossimo, che ho già in mente, ci penso almeno da cinque. È già nella mia testa.
Ha una routine particolare?
Scrivo ogni giorno. Di solito la mattina appena mi alzo prendo il mio caffè, apro il computer e scrivo per tre, quattro ore poi mi fermo. Questo però succedeva con i primi romanzi perché per Tata, invece, la sera verso le sei riaprivo il computer e lavoravo di nuovo per altre due ore. In particolare volevo rileggere la sera quello che avevo scritto la mattina e rielaborarlo.
Agnès lavora nel cinema, un mondo che lei conosce bene, e racconta storie. Quanto le assomiglia?
Amo Agnès perché è una regista, come lo è mio marito. Ammiro chi fa cinema, occorre davvero molto coraggio per realizzare un film. All’inizio di Tatà, però, è anche una che soffre per amore: suo marito l’ha lasciata e non riesce a riemergere. Tornare sulle tracce della sua infanzia con sua zia, ritrovare gli amici di allora, le fa capire che è possibile riconnettersi. Alla fine, la vita semplice, le cose essenziali, sono le più importanti.
Oltre a Agnès, troviamo diversi altri personaggi intensi: il suo preferito?
Sono legata a molti. Per esempio, Lyèce, l’amico d’infanzia di Agnès, che ha una storia toccante perché da bambino è stato vittima di un predatore, e ne è uscito. E poi, naturalmente, Colette: viene voglia di sedersi accanto a lei nel suo negozio e parlarle, guardarla lavorare.
Riserva sempre molto spazio alle donne: è un caso o una scelta?
Mi piacciono i personaggi femminili. Agnès pur essendo distrutta, ha senso dell’umorismo, è importante. Si fa delle domande, conduce un’indagine. E come spesso accade nei miei romanzi, si innamora di nuovo. Amo la vita e cerco di infonderla in ciò che scrivo.
Che legame ha con la città di Gueugnon, dove si svolge il romanzo?
Ci sono arrivata nel 1968, avevo un anno, perché mio padre era un calciatore ed era stato reclutato dalla squadra cittadina, che allora era importante.
Il calcio in effetti ha un ruolo di rilievo nel libro: Colette è una tifosa sfegatata del Gueugnon.
Sì, io in realtà non so niente di calcio, ma mi interessava parlare degli anni ’70, ’80 e ’90, quando un’intera città si riuniva ogni sabato sera allo stadio, se si giocava in casa, e c’era un incredibile senso di comunità, una passione condivisa tra persone di ogni classe sociale. Oggi si parla soprattutto di giocatori pagati a peso d’oro, ma il calcio è uno sport popolare, qualsiasi bambino al mondo può giocarci, non servono soldi, basta un pallone, ed è un aspetto di questo sport che trovo emozionante. Tatà gli rende omaggio.
Un tema centrale è il desiderio di ricostruire il passato. È possibile avvertirlo ancora oggi, in un’epoca in cui si vive in un costante presente?
Ne abbiamo sempre bisogno. I bambini riempiono di domande i genitori e i nonni per sapere da dove vengono. Per non parlare dei figli di madri rimaste anonime, dati in adozione: per tutta la vita cercano il motivo del loro abbandono ed è molto complicato vivere chiedendosene il perché. Tutti proveniamo dal passato e a volte è necessario rompere i traumi dei nostri antenati e sapere da dove veniamo. Ci aiuta a orientarci nel futuro.
Lo scorso maggio sono iniziate le riprese del film tratto da Cambiare l’acqua ai fiori, che dovrebbe uscire nel 2026, con Leïla Bekhti nel ruolo di Violette, la protagonista. È emozionata?
È meraviglioso. Sono andata la scorsa settimana sul set dove hanno ricostruito il cimitero e la casa di Violette ed è stato incredibile per me, molto commovente. Gireranno fino alla fine di settembre, sia in Italia sia in Francia (è una produzione franco-italiana, ndr). Sarà un grande film.
Si è chiesta perché questo romanzo piace così tanto?
È una domanda che mi sono fatta e ancora non ho una risposta certa del perché un personaggio così semplice, la guardiana di un cimitero, possa toccare così tante persone di tutte le età. Forse è perché il libro è costruito come un poliziesco, oppure perché Violette, così mi dicono i lettori, è una donna incredibilmente simpatica, come del resto lo è anche Colette. Viene davvero voglia di chiacchierare con lei davanti a un caffè. Chi legge il romanzo non ha la sensazione di scoprire un personaggio, ma di incontrare una di famiglia, una sorella. I miei lettori parlano di Violette come di qualcuno che esiste realmente, e credo che questa sia la forza di questo romanzo.
Pur essendo così amata dai lettori, in Italia di recente c’è chi l’ha attaccata sminuendo il suo valore di scrittrice. Cosa risponde?
Mi è stato riferito di un uomo, uno scrittore, che ha detto che l’unica cosa che Valérie Perrin fa è essere la moglie di Claude Lelouch. Cosa vuole che le dica, sono pubblicata in tutto il mondo, alla gente piace leggermi, questo è ciò che conta per me. Forse quell’uomo sta provando a scrivere dei romanzi senza riuscirci. Forse c’è della gelosia, dietro a una frase del genere. Penso sia una persona molto triste.
2025-06-10T08:17:59Z