TRE SCRITTRICI RIFLETTONO SUL SIGNIFICATO DI AVERE 40 ANNI OGGI

Tornare all’università, vivere una nuova relazione sentimentale, andare finalmente alla propria velocità. Quarant’anni sono un’età di evoluzione, piena di sfaccettature, la migliore delle quali è sentirsi sicure di sé come non mai. Tre scrittrici riflettono sul significato di avere 40 anni oggi.

Una delle domande che mi piace fare alle altre 40enni è: "Come prevedi che sarà la tua metamorfosi di mezza età?"

(di Lotte Jeffs)

Quella che una volta era chiamata "crisi di mezza età", per molte di noi è oggi una radicale rivisitazione della propria vita. Avere una relazione sentimentale, comprare un food truck, imparare a fare la dj, provare l’ayahuasca o partecipare a un’esperienza di sopravvivenza su un’isola deserta: queste sono solo alcune delle idee radicali e stravaganti che la mia cerchia di coetanee sta prendendo in considerazione mentre si accinge a entrare in questa trasformativa fase della vita.

Ma che cosa, in particolare, fa del nostro quarto decennio il momento perfetto per una resa dei conti? È semplicemente il fatto che abbiamo vissuto abbastanza a lungo da essere inquiete e stanche del modo in cui sono sempre andate le cose, ma non siamo abbastanza vecchie per adattarci a vivere secondo i canoni della "saggezza" convenzionale? Oppure siamo in balia della biologia, spinte dai cambiamenti ormonali e da una sorta di magia interna che ci sprona a evolvere?

Ricordo che negli anni Novanta i miei genitori parlavano di persone che attraversavano "una crisi di mezza età", e di solito si trattava di qualcuno di nome Colin che veniva avvistato da Waitrose con addosso una giacca di pelle: erano sempre gli uomini ad avere una "crisi", mentre dalle donne ci si aspettava che restassero salde, come se il cambiamento di mezza età non le riguardasse.

Tradizionalmente, il mondo si aspetta che, arrivate ai quarant’anni, noi siamo "a posto", come se entro quella data la nostra identità dovesse essere consolidata e sicura. Qualsiasi reinvenzione o cambiamento drastico nella seconda parte della vita è stato spesso associato a un crollo o un disfacimento, anziché a un’evoluzione naturale. Il cambiamento, soprattutto a quarant’anni, sconvolge la società, perché mette in discussione le norme che ci mantengono contenute e prevedibili. È per questo che alcune persone – quelle che non hanno mai sentito il bisogno di mettere in discussione i confini dell’identità – si sentono minacciate da concetti come la fluidità di genere: se è possibile cambiare qualcosa di così fondamentale come il proprio genere, quali altre presunte certezze potrebbero essere messe in discussione? È come se qualsiasi deviazione dalla traiettoria tradizionale della vita potesse portare il caos, sfilacciando l’istituzione del matrimonio mentre le persone scelgono percorsi familiari diversi e rimodellano la società con scelte autodeterminate. Io dico: avanti così!

Le persone trans ci dimostrano di continuo cosa significhi avere parte attiva e scegliere il cambiamento: ascoltano infatti la loro verità interiore e agiscono a partire da questa nonostante i molti ostacoli e i radicati pregiudizi sulla loro strada. Per una persona di vent’anni che fa coming out come trans la posta in gioco è molto più alta che per una quarantenne cis che accarezza l’idea di trascorrere due settimane mangiando larve in un corso di sopravvivenza per sfuggire a marito e figli, ovviamente, ma faccio il paragone perché penso che compiere quarant’anni sia una transizione, e c’è qualcosa di intrinsecamente queer in tutto ciò che ti fa pensare in modo diverso al tuo corpo, a te stessa e al tuo posto nel mondo.

Di recente ho letto A quattro zampe di Miranda July (2024, in Italia edito da Feltrinelli, ndr), considerato il primo grande romanzo sulla perimenopausa. La storia ha fatto scattare qualcosa in me: un’inquietudine, una specie di prurito. Nel libro, la protagonista compie passi drastici: lascia la famiglia, ristruttura in segreto la stanza di un motel e corteggia un giovane ballerino. Se da un lato le scelte sono estreme e le loro conseguenze profonde, dall’altro aprono un portale verso un modo di vivere alternativo. Le azioni disordinate e impulsive della narratrice hanno risuonato a molte lettrici perché descrivono il desiderio, tipico della mezza età, di dare una scossa alle cose, di capovolgere l’ordinario e vedere quali nuove prospettive si possono trovare.

Ho compiuto quarant’anni due anni fa e, sebbene il mio cambiamento sia stato meno teatrale, sento che sto incontrando me stessa in un modo nuovo. La mia metamorfosi è stata graduale: una delicata apertura all’idea che non è troppo tardi per cambiare. Una delle prime trasformazioni è stata nel rapporto con il mio corpo. Dopo una serie di fallimenti della fecondazione in vitro e ora in perimenopausa, il mio corpo è cambiato rispetto alla forma magra e androgina a cui ero abituata, tanto che ho dovuto ripensare il mio guardaroba e ridefinire il modo in cui mi presento. La mia vita adesso è scandita dagli orari scolastici di mia figlia e l’allenamento (per sembrare forte anziché magra) prima di dedicarmi a una giornata di scrittura a casa.

Gli abiti che funzionavano nella mia vita precedente non si adattano a questo nuovo ritmo: se a trent’anni potevo farmi prendere dal panico al pensiero di non avere un’identità nella moda, la me quarantenne si sta buttando nell’ignoto. Il mio stile, come molte altre cose nella mia vita, è in evoluzione.

Parallelamente a questo cambiamento, ho iniziato a riconsiderare il mio genere e la mia sessualità. Ho fatto coming out come lesbica a sedici anni, ma all’epoca non esistevano termini come "non-binario" e nel campo della sessualità era tutto o bianco o nero, senza sfumature intermedie. Di recente ho iniziato a capire che mi sono sempre sentita non binaria, solo che non avevo il linguaggio per esprimerlo. Non ho avuto bisogno di pronunciarmi ufficialmente: dopo tutto, sono un genitore molto impegnato e il pensiero di dover fare di nuovo coming out mi sembra estenuante. Riconoscerlo dentro di me, però, è stato liberatorio e ne parlo più apertamente con la mia cerchia. All’inizio temevo di dare l’impressione che stessi cercando di "essere ancora rilevante", ma adesso mi dico: perché non abbracciare la verità?

E poi c’è la carriera. Sono sempre stata una scrittrice, ma ora ho deciso di tornare all’università per studiare psicoterapia: finora, la mia mossa più audace da quarantenne. Nel nuovo anno inizierò un corso che potrebbe portarmi in una direzione completamente nuova. Riuscirò a finire? Chi lo sa? Ma questo decennio ha portato una nuova accettazione dell’incertezza: una volontà di esplorare, senza il bisogno dei piani rigidi e delle etichette dei miei anni precedenti.

Il libro This Love di Lotte Jeffs è edito da Dialogue Books (2024).

I miti della bellezza e alcune verità

(di Anita Bhagwandas)

"La morte è imminente" è il messaggio che, insieme a una mia foto, ho inviato poco tempo fa alle mie amiche. La causa di tanto allarme? La sgradita scoperta di un pelo grigio in un sopracciglio. Ho poi subito ridimensionato il lato drammatico del mio segno zodiacale, il Leone, e ho ricordato a me stessa che invecchiare è un privilegio non concesso a tutti, però mi chiedo se la tristezza con cui viviamo i cambiamenti del nostro aspetto non derivi dal fatto che ci viene venduta una "soluzione" per quello che è un processo naturale, senza che ci venga concesso il tempo e lo spazio mentale per adattarci gradualmente a questi cambiamenti.

Alcune delle cose che ci vengono dette sull’invecchiamento sono vere: alcune, non tutte, e – lavorando come giornalista nel settore beauty da vent’anni – lo so fin troppo bene. Il nostro corpo comincia a cambiare, questo è innegabile. Fino a qualche anno fa, il mio maggior problema di pelle era rappresentato dalle ghiandole sebacee iperattive e intenzionate a far brillare la mia fronte come un faro. Ora, a quarant’anni, la mia pelle è più secca, le rughe d’espressione rimangono e occorre affrontare imprevisti come le rughe del ginocchio.

L’invecchiamento è naturale, ma siamo state condizionate a "contrastarlo" con ogni mezzo a nostra disposizione, e veniamo indotte a intraprendere questa battaglia sempre prima. Una decina di anni fa, in occasione del lancio di un prodotto, un chirurgo mi diede un consiglio non richiesto sui punti in cui la mia pelle stava invecchiando e, siccome non riuscivo a ignorare le sue parole, mi sono sottoposta a un filler alle labbra e al solco lacrimale. Prima di ricevere quei commenti, il mio amore per il settore del beauty riguardava l’espressione di sé e la creatività, ma con il passare dei mesi, man mano che il filler scompariva, si è innescata una frana psicologica: iniziai a detestare la mia immagine allo specchio e a trovarmi una serie di difetti inediti.

Odiavo tutto questo: sono stata un’adolescente plus-size nell’epoca tossica della taglia zero, quando desideravo essere così magra da scomparire, e avevo deciso di non voler mai più provare quella sensazione. Sapevo di non voler passare il resto di quel decennio a odiare il mio viso, così ho stretto i denti e mi sono disintossicata, ammettendo con me stessa che non si era trattato solo del "ritocchino" che mi era stato prospettato (non sono contraria ai cosmetici iniettabili e alla chirurgia estetica, ma credo che occorra una maggiore regolamentazione).

Il modo in cui ci vengono venduti i regimi antietà spesso è implacabile e privo di scrupoli. Ecco perché ho creato il mio "piano d’invecchiamento": ho scelto di evitare le iniezioni per il prossimo futuro, perché non posso fare a meno di pensare al mantenimento emotivo ed economico. Ho invece trovato una via di mezzo con i trattamenti annuali per aumentare i livelli di collagene della pelle, insieme all’agopuntura facciale e ai trattamenti linfatici. E mi concentro maggiormente sulla salute e sul fitness; ora uso ClassPass, perché avere nuovi corsi ogni settimana soddisfa il mio ADHD. Con l’età voglio guadagnare libertà, non perderla, anche se mi rendo conto che altre potrebbero pensarla diversamente. Per me questo significa anche zittire tutto ciò che potrebbe farmi sentire a disagio con me stessa: ho smesso di seguire i profili social che inducono l’ansia da bellezza e ho riempito il mio feed di donne di mezza età davvero ispiratrici. Questa strategia ha avuto un impatto colossale sulla mia autostima: la consiglio vivamente.

L’"evoluzione" – è così che ho deciso di chiamare l’invecchiamento – è piena di sfaccettature, la migliore delle quali è sentirsi sicure di sé più che mai. Mi preoccupo meno delle opinioni altrui e sono in grado di dire di no nelle relazioni, sul lavoro, nella vita. In quanto donne, però, siamo bombardate da messaggi ageisti, e mantenere intatta la fiducia in noi stesse è difficile. Certi giorni sono esausta e la negatività si insinua, ma la combatto circondandomi, sia online che nella vita reale, di persone stimolanti di tutte le età. E, cosa fondamentale, cerco di non basare la mia sicurezza sul mio aspetto.

Quando ho compiuto quarant’anni, non ero sicura di voler organizzare una festa, non ero sicura di cosa stessi festeggiando. Ma adesso mi rendo conto che sostenere me stessa e le mie amiche per tutte le nostre pietre miliari – non solo quelle tradizionali, come matrimoni, bambini e fidanzamenti – è fondamentale. Compleanni, animali domestici, giorni "importanti", nuovi lavori, divorzi e anche "solo perché mi va" sono ottimi motivi per dire a un’amica che è fantastica, e dovremmo farlo più spesso. Per contribuire a costruire un mondo migliore, dobbiamo anche rifiutare con decisione affermazioni come: "è bellissima per la sua età" o "da giovane era sexy". Le ricerche per il mio libro, Ugly, mi hanno fatto capire quanto la società nasconda le donne più anziane perché, essendo più potenti e più sicure di sé, non sono facili da manipolare; queste donne sono meno visibili sui social media e in tv, a causa di algoritmi ageisti e di casting misogini.

Quindi, se ho imparato qualcosa a quarant’anni, è che dobbiamo rifiutare attivamente tutto ciò che cerca di offuscare la nostra luce e dobbiamo permettere a noi stesse di brillare davvero.

Il libro Ugly: Why the World Became Beauty Obsessed and How to Break Free di Anita Bhagwandas è edito da Blink (2023).

Diventare adulte (di nuovo)

(di Laura Antonia Jordan)

Una sera qualunque in un pub di Soho all’ora di chiusura, la me ventiduenne conobbe un uomo di quarant’anni appena compiuti con il quale avrei avuto una storia per gli otto anni successivi. È stata una relazione (anche se non mi illudo che lui l’avrebbe mai considerata tale) all’insegna della frustrazione, non da ultimo per le mie amiche più strette, che erano sconcertate dalle mie scelte. L’unica cosa su cui eravamo d’accordo: un quarantenne è vecchio.

Anche voi, come loro, potreste chiedervi cosa abbiano in comune un uomo di quarant’anni e una donna (ragazza!) di ventidue. Io non mi sono mai posta questa domanda, perché conoscevo già la risposta: niente. Ma non mi importava. C’è qualcosa di inebriante e selvaggio nell’essere l’archetipo del desiderio di qualcuno, e il fatto che lui mi offrisse la possibilità di avvicinarmi a quella che consideravo l’età adulta ufficiale non faceva che accrescere la vertigine. Stavo usando lui quanto lui stava usando me; stare con un uomo di quarant’anni, con un’attività, un mutuo e già un divorzio alle spalle, era impressionante, chic ed esotico. Gli uomini (i ragazzi!) della mia età sembravano patetici al confronto.

Ci viene insegnato che il tempo dona saggezza e aiuta a chiarire il passato, ma io ho spesso trovato vero il contrario: i contorni di molte situazioni appaiono più sfumati e opachi ogni anno che passa. Quindi, di certo aiutata da un briciolo di maturità, dopo il #MeToo alla fine ho esaminato lo squilibrio di potere di quella relazione e riconosco che lui non ne esce bene. Tuttavia, avendo raggiunto l’età che aveva lui quando mi ha conosciuta, provo anche un’inaspettata e sorprendente empatia nei suoi confronti: ora capisco quanto si sia giovani a quarant’anni, ora capisco quanto si possa essere ancora sprovveduti e disordinati e smarriti, ora capisco che, con una ventiduenne, potresti avere più cose in comune di quanto sei disposta ad ammettere o a immaginare.

A quarant’anni sono terribilmente sprovveduta. Ancor più che a ventidue: allora ero avvolta dall’ingenua e saccente arroganza della gioventù. E, nei momenti in cui mi fermo a pensarci, questo mi terrorizza davvero: la sensazione che tutti gli altri sappiano esattamente cosa stanno facendo mentre io sto ancora cercando di capirlo, che tutti abbiano trovato il loro posto mentre io, con una sola svolta sbagliata, potrei scivolare nelle crepe dell’esistenza.

Per una lunga parte della vita il disordine viene celebrato come un valore, e poi – bam! – le amiche con cui passavi le serate a casa di sconosciuti, con cui condividevi case piene di muffa, improvvisamente hanno cucine con isola e opinioni accese sugli asili nido. Quei ragazzi "patetici"? Adesso sono uomini fantastici. Io non riesco nemmeno a cucinare un pollo arrosto o a parcheggiare in parallelo (tuttavia, mi lamento del mio mal di schiena, quindi è chiaro che sto invecchiando). Quand’è stato che i miei coetanei e le mie coetanee hanno imparato a comportarsi e a vivere da persone adulte? Mentre io cercavo di prendere una scorciatoia verso l’età adulta e di scrollarmi di dosso prematuramente il disagio dell’adolescenza, loro imparavano a essere veri adulti, sapendo di chi erano, e comportandosi di conseguenza.

L’alcol e le droghe sono strumenti brutalmente efficaci per perdere tempo. Avevo trent’anni anni quando mi sono disintossicata, e ne avevo di più quando ho capito che l’età adulta – o la versione di essa che si desidera – è qualcosa che al contempo ti guadagni e ti viene concessa in modo arbitrario. Così, in un decennio in cui molti miei coetanei stavano raccogliendo i frutti di ciò che avevano costruito per anni, io dovevo scavare nuove fondamenta.

Potrebbe suonare fosco o deprimente. Non lo è. Per la prima volta sento di essermi guadagnata l’età adulta, che è arrivata molto lentamente. La lezione più gentile e generosa che mio padre mi abbia mai insegnato è che ognuno di noi procede a ritmi diversi e che i viaggi raramente sono lineari. Ho bisogno di andare alla mia velocità. Se la vedo così, mi sembra meno una crisi e più un momento esaltante di cristallizzazione.

Inoltre, forse l’unica differenza tra una crisi di mezza età e un risveglio di mezza età è la presentazione: una è squallida e l’altro è eccitante; la prima è fatta di pessime giacche di pelle e fidanzate troppo giovani mentre il secondo è la fidanzata troppo giovane; la crisi di mezza età è ciò che è stato, il risveglio di mezza età è ciò che può ancora essere. In entrambi i casi si cominciano a capire le cose.

La prospettiva è cruciale. Di recente ho cenato con un’amica sui quarantacinque che pochi mesi prima aveva chiuso una relazione di lunga data. Non ho dubbi che buttarsi di nuovo nella mischia sia scoraggiante, ma mi ha detto che a volte, prima di dormire, si sente così entusiasta al pensiero di non sapere dove sta andando la sua vita che non riesce a prendere sonno, come un bambino la Vigilia di Natale. Questa immagine mi è rimasta impressa. Chi dice che non si possa diventare di nuovo adulti a quarant’anni, a ventidue, o a qualsiasi altra età?

2025-05-12T14:16:01Z