LA SORELLANZA VOLA SULLO SKATE

L'habeche candida si alza leggera insieme ai riccioli scuri, svelando i jeans e le sneakers mentre Makdelina performa un ollie sotto lo sguardo delle amiche. Non è insolito per le ragazze indossare la veste tradizionale ortodossa la domenica, tanto quanto non è insolito veder sfrecciare le AddisGirlsSkate (@addisgirlsskate) sullo skate nelle strade della capitale etiope. La sorellanza viaggia su ruote veloci ad Addis Abeba, terza tappa del viaggio della fotogiornalista Chantal Pinzi (@chantalpinzi.photography) alla scoperta dello sport come forma di autoaffermazione e ribellione femminile.

Anche Chantal fa parte di quella che è a tutti gli effetti una comunità globale, quella degli skater, passione che unisce generazioni, travalica i confini e i generi, si disperde nel mondo in mille rivoli che condividono valori universali come creatività, autenticità, coraggio e cameratismo. Aggregazione e inclusione sono il comune denominatore di uno sport che trascende lo sport stesso per diventare stile di vita. E anche atto di coraggio, d’indipendenza, di ribellione, come racconta Chantal, che in Etiopia ha continuato il cammino intrapreso nel 2022 per indagare, scoprire, capire come alcune attività sportive possano diventare una forma di rivolta contro il patriarcato.

«Non cerco lo sport in generale», racconta Chantal, che con Makdelina, Tsion, Edom, Liya e Mirhet e tutte le altre ha condiviso le giornate per settimane, «ma solo quegli sport in cui la partecipazione femminile è minore o non è concesso alle donne praticarli. Lo skateboard poi, fa storia a sé, perché è qualcosa di nuovo, e sia in Marocco sia in India, dove sono stata prima di arrivare in Etiopia, non ci sono poi troppi pregiudizi. In India mi sono occupata anche di un progetto sul wrestling, che nel Paese ha una storia secolare ma che ancora oggi vede spesso precluse le palestre tradizionali alle donne, nonostante siano riuscite ad arrivare sui tappeti olimpici. L’ascesa delle lottatrici in India, specie nelle regioni rurali, rappresenta una rivoluzione silenziosa in cui l’atletismo diventa veicolo di emancipazione in un Paese legato a valori patriarcali. Sono proprio gli sport in cui la società non ti vuole quelli in cui l’autoaffermazione femminile diventa ancora più forte e significativa».

Il primo skatepark d’Etiopia è nato nel 2016 nella capitale, seguito da quello di Hawassa,realizzato grazie a una campagna di crowdfunding, e di Konso, villaggio rurale dove il movimento sta iniziando a mettere radici

È così che il progetto Shred the Patriarchy di Chantal prende vita: per raccontare come, contro pregiudizi e minacce, alcune donne si sono ribellate. Per esempio, stando in equilibrio su una tavola e trasformando lo skateboarding in una forma di resistenza contro il patriarcato. «Il mio progetto si concentra sulle donne e sulle comunità emarginate e su come la sottocultura dello skate possa essere uno strumento per promuovere l’empowerment e l’inclusione sociale. Durante il mio soggiorno in Marocco ho constatato come le comunità che si sviluppano intorno agli skatepark e ai diversi spot siano piene di valori di accettazione, empatia e unità. Un germoglio di uguaglianza piantato in un terreno patriarcale. Ho trovato importante scoprire le voci di quelle poche donne che hanno deciso di infrangere regole non dette e di fare shredding (allenarsi duramente, imparando al meglio nuovi trick) nonostante i giudizi e le punizioni che ricevono a causa del loro spirito ribelle. Non possono più accettare di essere ciò che la società vuole che le donne siano: creature deboli».

Le donne che Chantal ha incontrato e le loro storie sono esempi coraggiosi di come lo skateboarding permetta agli emarginati di realizzare e confermare la propria identità, ma non solo: possono ispirare altre persone a scegliere di “liberarsi” usando lo skate come strumento di auto-emancipazione. E se in India il Paese è troppo vasto perché si possa fare community ma ci sono campionesse nazionali, se dal Marocco arriva Aya Asaqas, prima skater africana a partecipare alle Olimpiadi a Parigi, in Etiopia - dove la guerra civile ha esacerbato la disuguaglianza di genere - la storia è ancora tutta da scrivere. «Ci sono solo tre skatepark in tutto il Paese ma in uno di questi, ad Addis Abeba, si è creato un movimento femminile incredibile, alimentato da almeno un centinaio di ragazze», racconta Chantal. Allo skatepark della capitale il sabato mattina è riservato a loro: una grande conquista, ma anche una necessità, perché le ragazze sono più a loro agio, non hanno occhi puntati addosso e si sentono libere di fare gruppo e supportarsi a vicenda, anche se la community è creata anche dai ragazzi, che negli altri giorni della settimana le aiutano a praticare e a imparare nuovi trick.

Al di là dell’agonismo - alcune hanno comunque già fatto competizioni - in una società come quella etiope la cosa più importante è proprio la comunità che si è creata, una rete che va ben oltre lo skate. Questo perché le aspettative di genere molto forti nel Paese condizionano le ragazze e il movimento non solo supplisce alla scarsità di role model nello sport, ma crea anche un forte legame di sorellanza, che in qualche modo sta trasformando le loro vite. Le aiuta a ridefinirsi in una società che tende a scoraggiarle dal partecipare alla vita pubblica e dall’intraprendere percorsi diversi da quelli già scritti. Tra le crew al femminile, quella seguita da Chantal è nata da poco meno di tre anni. «Mac (nickname di Makdelina, una delle fondatrici), mi ha raccontato che prima di praticare skateboard e di avere il suo gruppo di amiche si sentiva veramente sola: la sua vita, come quella di tutte le altre teenager, era molto monotona. La vita sociale al di fuori della scuola è quasi inesistente, non esci di casa, non vivi lo spazio pubblico. Lo skate le ha permesso di avere qualcos’altro oltre alla vita domestica».

In un Paese in cui le aspettative di genere sono molto forti, il movimento supplisce alla scarsità di role model nello sport e crea un forte legame tra le ragazze, che le aiuta a ridefinirsi in una società che tende a isolarle

Ad aiutare le più giovani ad emanciparsi c’è anche Burtekan, 43 anni, madre di due figli e da sempre ribelle, che oggi sfida i pregiudizi legati all’età e al genere facendo skate con le ragazze. «Fin da piccola ha sempre voluto fare qualcosa di diverso», spiega Chantal. «Non capiva perché lei doveva restare in casa mentre il fratello poteva andare a giocare a pallone, così usciva di nascosto la mattina per allenarsi, è diventata calciatrice e poi insegnante di calcio, impresa straordinaria nell’Etiopia di vent’anni fa. Oggi è un simbolo: la sua presenza allo skatepark dà un senso di protezione e aiuta le skater - che la chiamano Mami - a ottenere dalle famiglie il permesso di praticare». Anche perché non è tutto rose e fiori, racconta ancora Chantal: «Un giorno un passante ha gridato alle ragazze “siete il demonio”, e ci sono situazioni che possono essere pericolose. Loro però stanno trovando la forza di reagire grazie a questa nuova passione e di ribellarsi insieme, creando una comunità che in futuro le supporti anche economicamente».

Molte, infatti, oltre a frequentare la scuola vedono un futuro nello skateboarding: c’è chi punta a diventare un’atleta agonista, chi vuole girare il Paese per insegnare ad altre ragazze, chi ha già lavorato nell’ambito della moda, partecipando a sfilate, video e shooting. La forza della community - che cresce in modo esponenziale grazie a Ethiopia Skate (ethiopiaskate.org), organizzazione no-profit che supporta lo sviluppo dello skateboarding nel Paese - è anche la sua forte componente creativa, che ha dato vita a una sorta di collettivo capace di unire sport, arte e cultura. Videomaker, fotografi, artisti, ragazzi e ragazze che hanno studiato moda e creato il proprio brand realizzano progetti superando le barriere di genere e plasmando una nuova narrazione di inclusione ed empowerment. Per scrivere insieme un futuro nuovo. •

2025-06-08T08:24:56Z