FIAT MIRAFIORI, 14 OTTOBRE 1980: LA MARCIA DEI 40 MILA SEGNA LA SCONFITTA STORICA DEL VECCHIO SINDACALISMO E CHIUDE UN’EPOCA

Quarantacinque anni fa, tra l’ 11 settembre e il 14 ottobre 1980, il sindacato incappava alla Fiat di Mirafiori in una delle sue maggiori sconfitte, paragonato dalla americana Miriam Golden, nel suo libro “Eroiche Sconfitte” di qualche anno fa, a quella delle Trade Unions in Inghilterra del 1983–1984 con Margaret Thatcher.

Secondo la Golden, le vertenze sindacali sulla riduzione del personale sembrano spesso caratterizzate da una sorta di irrazionalità, quasi che i sindacati non si rendano conto che i loro sforzi sono condannati in partenza.

In realtà la irrazionalità è solo apparente atteso che il vero obiettivo è la sopravvivenza degli stessi sindacati e non la difesa dei posti di lavoro di una azienda in crisi: insomma la lotta sindacale si fa solo per marcare la propria esistenza. È appunto quello che capiterà in Fiat nell’autunno 1980.

La crisi di governabilità in fabbrica

Il decennio precedente segna in azienda il passaggio da un sistema di fabbrica fortemente gerarchizzata e abituata all’obbedienza ad un sistema di difficile governabilità, con un tasso di assenteismo giornaliero di oltre il 20 per cento e una improduttività di circa 30 punti percentuali, dovuta alla diffusa pratica della autoriduzione della prestazione lavorativa o ai comportamenti arroganti ed intimidatori verso i capi, affinchè non esercitino i poteri di controllo e disciplina o diano notizia ai superiori di quello che va accadendo nei reparti di lavorazione.

Le strutture sindacali aziendali sono ora formate, una volta sciolte le Commissioni Interne, da delegati eletti dai lavoratori del proprio gruppo omogeneo, con procedure non formalizzate e molto approssimative, indipendentemente dalla militanza sindacale.

Vengono così imbarcati i peggiori elementi, quelli che riescono a coagulare antagonismo e aggressività in una popolazione operaia, in maggioranza alle catene di montaggio, di scarsa scolarizzazione e di recente immigrazione dal sud, che riversa in fabbrica tutto il proprio disagio sociale nel passaggio da una cultura contadina ad una cultura industriale non ancora assimilata.

A Mirafiori i delegati saranno oltre 1200 nei tre consigli di fabbrica della Carrozzeria, della Meccanica e delle Presse, che si riuniscono nel “Consiglione” quando sia necessario assumere azioni “dure” di lotta sindacale, cioè praticamente un giorno sì e l’altro pure.

Sono anni in cui vige ancora l’avviamento numerico dall’ufficio di collocamento, senza possibilità di ricorrere a meccanismi di selezione, per cui, tra le decine di migliaia di persone assunte ogni anno in una continua rincorsa per colmare le perdite di efficienza e l’elevato tasso di turn over, entreranno in fabbrica anche i terroristi.

E al terrorismo brigatista la Fiat ha pagato un alto tributo di sangue con oltre una cinquantina di ferimenti e tre attentati mortali di capi e dirigenti.

La svolta con Callieri e la linea della fermezza

Nel gennaio 1979 Carlo Callieri viene nominato Capo del Personale di Fiat Auto, con la responsabilità di affrontare e risolvere i problemi di ingovernabilità delle fabbriche.

Il primo problema è quello di limitare lo strapotere sindacale, in particolare quello degli antagonisti della Quinta Lega sindacale di Mirafiori.

A differenza dei capi che entravano negli stabilimenti a piedi, gli operatori sindacali esterni entravano in auto e avevano totale libertà di movimento nei reparti di lavorazione (situazione peraltro riscontrata ancora anni dopo negli stabilimenti acquisiti dell’Alfa Romeo di Arese e Pomigliano).

I sindacalisti utilizzavano inoltre le portinerie degli stabilimenti come punti logistici di distribuzione di materiale non sempre sindacale e di trasmissione di ordini ai consigli di fabbrica con il telefono aziendale.

Al sindacato fu mandato un primo segnale: tolti i permessi di entrata con l’ auto, proibito l’ uso delle guardiole dei sorveglianti come deposito di materiale sindacale, proibito l’ utilizzo di mezzi aziendali come telefono, fax o telex per i loro fini.

Il secondo tema era riconquistare la fiducia dei capi e quadri intermedi, fiducia che nel corso del tempo avevano perso perchè non solo si sentivano vasi di coccio nel conflitto quotidiano con i delegati, ma perchè avevano subito troppe volte la prassi aziendale di reintegrare sul posto di lavoro i licenziati per violenza nei loro confronti. Prassi che si ripeteva ad ogni chiusura delle vertenze contrattuali.

Dopo gli ennesimi episodi di violenza terroristica nell’autunno 1979, riesce a prevalere in azienda la linea della “fermezza” con il licenziamento di 61 lavoratori tra i più facinorosi.

Quei licenziamenti fecero comprendere ai capi e agli operai che la Fiat intendeva reagire e riportare la governabilità nelle fabbriche e rivelarono le condizioni drammatiche in cui erano state fino a quel momento gestite le stesse.

Verso lo scontro del 1980

Si diede inizio al progressivo recupero della efficienza industriale con il crollo del tasso di assenteismo e della microconflittualità a livelli fisiologici, mentre furono rivisti i tempi di lavoro obsoleti, che non si erano potuto variare nel corso degli anni nonostante l’ automazione e robotizzazione di diversi impianti, come il robogate in Carrozzeria e il LAM (Lavorazione Asincrona Motori) nelle Meccaniche.

Peraltro il miglioramento della efficienza e della produttività fecero sorgere sacche di personale eccedente, che dapprima l’ azienda cercò di gestire con il ricorso alla cassa integrazione guadagni, finché divenne necessario affrontare il problema in modo strutturale, anche a seguito di un calo del mercato ed il permanere del cattivo andamento dei conti aziendali.

Nella primavera del 1980 la Fiat cerca di dimostrare, in una serie di incontri a livello nazionale, quale fosse la situazione oggettiva, ma, anche per la scarsa propensione del sindacato ad affrontare i problemi strutturali dell’ azienda, gli incontri non sortirono alcun effetto.

Nel mese di luglio si arrivò al momento cruciale quando Umberto Agnelli , in una intervista, affermò che per recuperare la competitività era necessario svalutare la lira e ricorrere nel settore auto ai licenziamenti per riduzione di personale.

E poi accadde quello che doveva accadere.

Alla riapertura degli stabilimenti, dopo le chiusure estive, Cesare Annibaldi, responsabile delle relazioni industriali Fiat, annuncia in conferenza stampa che l’esigenza dell’azienda sarebbe quella di licenziare 23000 lavoratori, ma si potrebbero evitare con il ricorso alla cassa integrazione a zero ore per 18 mesi e alla mobilità da posto a posto di lavoro, come previsto dal nuovo istituto introdotto dal CCNL metalmeccanici del 1979.

Il 7 settembre all’Unione Industriale di Torino si avviano le trattative tra la delegazione Fiat, capeggiata da Cesare Annibaldi e Carlo Callieri, e i sindacati. La Fiat afferma di dover porre in cassa integrazione a zero ore per 15 mesi 23000 lavoratori, di cui la metà non potranno rientrare al lavoro.

La marcia dei 40.000 e la fine di un’epoca

La F.L.M., capeggiata dal leader della Fiom-Cgil Claudio Sabattini, respinge la proposta proponendo misure minime: cassa settimanale a rotazione, blocco del turn-over, corsi di formazione per riequilibrare gli organici.

Le trattative si rompono il 10 settembre, quando di fronte alla chiusura del sindacato, la Fiat annuncia che in giornata o al massimo il giorno successivo saranno avviate le procedure per 12/15000 licenziamenti, avviate in effetti il giorno dopo per 13000 lavoratori sulla base dell’ accordo interconfederale del 1965. La reazione sindacale della base all’avvio della procedura fu l’immediato blocco a Torino di tutti gli stabilimenti dell’ auto.

Dall’11 settembre e sino al 14 ottobre, per 35 giorni negli stabilimenti torinesi e progressivamente in quelli del resto del Paese sarà impedito l’ accesso ai lavoratori con sistematici e duri picchettaggi agli ingressi, fatti dai delegati sindacali e rinforzati da agitatori esterni, e buoni ultimi, quando ormai erano allo stremo, anche dai camalli genovesi.

Mentre la delegazione Fiat trattava a Roma con i sindacati nazionali, prima al Ministero del Lavoro sino alla fine di settembre quando il Governo Cossiga cadde sulla legge finanziaria, e successivamente in un hotel romano, i responsabili della Quinta Lega ed i delegati, a turno, si riunivano in un cinema-teatro torinese per bloccare qualsiasi spiraglio di trattativa, con il rifiuto totale alla mobilità esterna e alla cassa integrazione a zero ore.

A nulla valse la sospensione della procedura dei licenziamenti, comunicata in diretta televisiva da Cesare Romiti al TG delle venti dopo le dimissioni del Governo, e la collocazione provvisoria di 23.000 lavoratori in cassa integrazione per 13 settimane sino a fine anno. La svolta avvenne nella mattinata del 14 ottobre.

Mentre il Procuratore della Repubblica ed il Giudice Istruttore emettono una ordinanza alla Pubblica Sicurezza di Torino e ai Carabinieri della cintura perché garantiscano gli accessi agli stabilimenti Fiat, per oltre tre ore per le vie del centro città si snoda un corteo spontaneo di migliaia di lavoratori Fiat, formato da capi, quadri intermedi, impiegati e operai che rivendicano il diritto al lavoro e la possibilità di ritornare in ufficio e in fabbrica. Il corteo sarà ricordato come “la marcia dei 40.000”.

Quello che sta capitando a Torino, trasmesso in diretta televisiva dalla Rai, dopo aver interrotto la normale programmazione, spingerà i segretari generali della Cgil, Cisl e Uil, Luciano Lama, Pierre Carniti e Giorgio Benvenuto a chiudere in fretta la vertenza, temendo la spaccatura del mondo del lavoro e l’ isolamento della classe operaia.

Nel pomeriggio a Roma sarà firmato l’accordo che prevede il ricorso alla cassa straordinaria a zero ore per 23.000 lavoratori senza rotazione (ad eccezione di un migliaio di addetti alla linea della 131 e 132) sino al 30 giugno 1983. Per ridurre il numero dei lavoratori sospesi si farà ricorso alla mobilità esterna per un numero massimo di 7500 lavoratori, oltre al prepensionamento e alle incentivazioni economiche, mentre l’azienda si assume l’impegno al rientro in azienda per coloro che si trovassero ancora in cassa integrazione alla fine del periodo .

Nel pomeriggio del 15 ottobre i delegati irriducibili, riunitisi al cinema Smeraldo, contestano l’accordo e decidono di proseguire la lotta, ma il giorno dopo le assemblee dei lavoratori convocate a Mirafiori approvano l’ accordo che pone fine alla vertenza.

Dopo la sconfitta: la nuova stagione Fiat

In questo modo i 35 giorni di Mirafiori segnarono la fine del sindacato dei Consigli, e con essa la fine della stagione del “potere operaio” in fabbrica, inaugurata nell’ autunno del 1969 e terminata con una “eroica sconfitta” nell’ autunno del 1980.

Negli anni successivi in Fiat si aprirà una nuova stagione dominata dalla contrattazione della ristrutturazione aziendale, dalla convivenza civile e dal rispetto reciproco, che vedrà protagonisti sul fronte sindacale persone come Raffaele Morese e Tom Dealessandri della Fim-Cisl, Cesare Damiano e Susanna Camusso dell Fiom-Cgil o Luigi Angeletti della Uilm-Uil.

Nel 1986 la Fiat Auto conquisterà la leadership del mercato europeo con la quota del 18%, avanti la tedesca Volkswagen e la francese Renault.

2025-10-14T04:30:29Z