COM'ERA ESSERE DONNA A POMPEI

Nobili matrone, liberte, schiave, concubine, prostitute, operaie, sguattere, moglie, figlie, sorelle. Essere donna nell’antica Pompei è il titolo di una grande mostra curata da Francesca Ghedini e Monica Salvadori inaugurata nella Palestra grande degli scavi archeologici (16 aprile - 31 gennaio 2026). C’è tutta la vita quotidiana delle donne documentata con affreschi, ritratti privati e funerari, oggetti di uso comune, iscrizioni che ci aiutano a ricostruire quale fosse la condizione delle donne nella società romana, quanto amassero imbellettarsi, avere cura del proprio corpo alle terme, ornarsi di gioielli, tingersi i capelli, e quanto aspirassero alla vita pubblica, che era loro perlopiù negata.

La mostra narra la vita di otto donne, tutte molto diverse tra loro per status, ruolo sociale, attività: insieme ci restituiscono un affresco composito dell’universo femminile del I secolo d.C. Troviamo Amaryllis, una schiava impiegata nella filatura della lana nel laboratorio tessile del suo padrone in una casa di via della Fortuna. La filatura era un’attività che veniva svolta nelle domus anche dalle donne nobili, tanto che il rocco e il fuso erano simbolo di virtù e laboriosità e venivano portati nel giorno del matrimonio dalla madre della sposa nella casa del marito. Un’iscrizione sulla casa-laboratorio fa pensare che Amaryllis fosse costretta anche a prostituirsi. Come le tre cameriere al servizio dell’ostessa Asellina, che gestiva una locanda in via dell’Abbondanza: Zmyrina, Aegle e Maria, dopo aver servito vino e cibo, erano a disposizione dei clienti. Come Eutychis, il cui nome compare su un graffito della villa dei Vettii: dopo essersi occupata della casa, la sera continua a lavorare in una stanza decorata con immagini erotiche, costretta a vendere il suo corpo per pochi spiccioli.

Migliore la sorta toccata a Flavia Agatea, una liberta, cioè una schiava liberata, che insieme al marito era riuscita a riscattarsi socialmente e a far costruire per sé - e per altri liberti - una tomba monumentale in cui si è voluta far ritrarre “come una matrona”. Così come ha fatto Nevoleya Tyche, anche lei testimonianza di come fosse possibile farsi strada nella società romana dalla condizione più umile. Del resto, lo spirito imprenditoriale non mancava alle donne pompeiane: quando le terme della città vengono danneggiate da un terremoto, Giulia Felice decide di aprire al pubblico l’impianto termale privato della sua domus e avviare così una sua impresa.

Molto diversa la condizione della nobile e imprenditrice della lana, Eumachia, una delle donne più note di Pompei. Il suo modello dichiarato è Livia, la moglie dell’imperatore Augusto, di cui copia persino le acconciature. È una delle pochissime ad aver assunto il ruolo di sacerdotessa pubblica, onore tributato di rado ad una donna e ad aver associato il suo nome ad un edificio pubblico fatto costruire con il suo patrimonio, pur non potendo aspirare, come gli uomini, alla vita politica. Come lei, Mamia, di cui si vede il sepolcro fuori porta Ercolano, sacerdotessa del culto di Venere: il tempo che finanziò in onore di Augusto le servì solo per garantirsi che il suo nome non fosse dimenticato dalla storia.

2025-04-17T10:04:31Z