«NESSUNO CI HA INSEGNATO A VIVERE IL DIGITALE. MA POSSIAMO DISINTOSSICARCI»

Sappiamo che, molto probabilmente, stai leggendo queste righe da uno smartphone. Sappiamo anche che un utente su quattro trascorre almeno sette ore al giorno allo smartphone, e che quasi un italiano su tre si dichiara dipendente dal cellulare. Perché si combatte la noia, si messaggia e ci si intrattiene. «Nessuno però ci ha mai insegnato a vivere il digitale, dove trascorriamo due terzi della nostra vita», ci spiega Alessio Carciofi, esperto di digital wellbeing che da anni insegna in università e aziende il benessere digitale, perché – spiega – «nessuno ci insegna a ottimizzarlo». Parla a Esquire Italia in un giorno simbolico, il 5 maggio, Digital Wellness Day. Una giornata ad hoc per ripensare il nostro rapporto con la tecnologia: «Esiste tutto un filone di investimenti in Well-Tech, la tecnologia del wellness. Tutto è gamificato, c’è chi mi scrive di non riuscire a dormire prima di aver completato 10mila passi entro la mezzanotte. Mi chiedo perché si sia arrivati a questo, siamo succubi della tecnologia invece di essere noi a guidarla per migliorare la nostra vita».

Nel tuo TEDx Talk, parli di "hackeraggio" dell’attenzione. La prima domanda è scontata: la situazione è così catastrofica?

Risposta secca: sì. Risposta più articolata: serve capire oggi noi come ci relazioniamo con la tecnologia. Ogni relazione, coi genitori, col partner, con gli amici, può portare alla dipendenza. Dipendenza vuol dire che subiamo qualcosa, come può essere la tecnologia e quindi le chat, i messaggi WhatsApp, fino all’Intelligenza Artificiale. Questo è lo scenario: esiste un’economia dell’attenzione, un sistema che segue una leva psicologica e fattura sulla nostra distrazione. Poi è intervenuto il Covid-19, siccome negli ultimi anni s’è creata l’attesa dell’esserci sempre e comunque, 24 su 7. Una cosa disfunzionale.

La situazione è catastrofica, ma esistono contromisure. Sempre in quel TEDx, evochi la metafora di un atleta e sostieni che l’attenzione e il focus sono competenze allenabili. Come?

Quel talk era del 2018 a Marcianise, è passato del tempo da allora. Per me, Digital Detox non è vivere in una caverna, bensì una competenza – allenabile – alla base del benessere digitale, o Digital Wellbeing. Si tratta di saper gestire la tecnologia, padroneggiare quest’enorme strumento senza esserne padroneggiati. Per farlo, in primis dobbiamo cambiare mindset e pensarci come degli sportivi. Lo sportivo ha tre tempi: il tempo dell’allenamento, il tempo della gara (o performance) e infine il tempo del riposo. Spesso ci dimentichiamo di questo terzo punto, viviamo in una costante scarsità di tempo che – come ci dicono i libri sapienziali orientali – non contempla la pausa. Ma la pausa è un elemento imprescindibile di ricarica e riconnessione, di cui spesso ci dimentichiamo.

I numeri dicono che si perde in media il 36% del tempo lavorativo dietro alle distrazioni. Dov’è finito il mito del multitasking?

Stanno cambiando le regole. Siamo nel Future of work, dove non lavori più in ufficio ma lavori dove vuoi. Mi spiego: è come acquistare oggi un MacBook col nuovo processore M2 e utilizzare come sistema operativo Windows 97, le due cose andrebbero in crash. Lo stesso sta accadendo con le distrazioni. Viviamo in un sistema culturale 24/7 che crasha la nostra vita, la nostra identità. Siamo continuamente distratti da tutto e attenti su poco, e ci sono dei costi. Parlo di tre tipologie di costi. Ci sono costi legati alla salute mentale, quindi stress e burnout, anche emotivo. Più siamo distratti, più le emozioni di bassa lega proliferano: ansia, paura, frustrazione. Sono le stesse che ci salvano nei momenti di pericolo, sono le stesse che il design delle interfacce, la UX, colpisce appositamente. Poi ci sono dei costi di energia, perché il multitasking ci fa arrivare a fine giornata sopraffatti, esausti. In gergo tecnico, si chiama "costo di commutazione del residuo di attenzione": più sono le volte in cui cambiamo task, più attenzione che impiegavamo dei task precedenti ci portiamo appresso. C’è un terzo costo, ed è il tempo. E ce ne sarebbe un quarto, il costo degli errori.

Riassumendo, non siamo programmati per il multitasking?

Il punto è che noi pensiamo di essere più produttivi se facciamo più cose contemporaneamente, ma non è così. In certi lavori, è preferibile di gran lunga il monotasking. Ci stiamo raccontando una convinzione errata, non siamo sul pezzo come crediamo. Il mito della produttività è legato al nostro modo di essere, ed è normale sentirsi esausti e frustrati.

Alessandro Baricco, in The Game, rinviene una postura antropologica nuova nell’uso dello smartphone. Genera varie implicazioni, dall'accesso pressoché illimitato alla conoscenza all’abbattimento di alcune élites. Nell’era dell’AI e di ChatGPT, come suggerisci di recuperare un legame positivo con la tecnologia?

Ogni tecnologia, dal 1900 in poi, e a maggior ragione oggi che diventa sempre più pervasiva, fa paura. Ci spaventa, è un bias ma io credo che negli anni si sia investito tanto nella tecnologia e poco nell’umanità. C’è un disequilibrio, e la nuova sfida sarà ridare all’uomo un ruolo da protagonista nell’interazione. Non nell’omologazione, ma nell’interazione uomo-macchina. L’uomo deve recuperare la sua integrità e tornare a fare l’uomo. È difficile accorgersene, siamo nel mezzo di una tempesta, ma si sta creando un nuovo paradigma. E non dobbiamo fuggire, ma approfittarne. ChatGPT non ha le capacità umane in ambiti come la creatività e l’empatia, le famose soft skills che non sono poi soft, bensì qualcosa di prezioso. E torniamo all’attenzione, perché solo prestando attenzione riusciamo a immaginare il futuro. L’etimologia di immaginare è "in me imago agere", cioè io posso creare qualsiasi cosa. Ma se anziché porci domande le deleghiamo a ChatGPT, l’uomo perderà l’immaginazione.

Vorrei affrontare con te il tema della sovra-stimolazione, della dopamina e della gratificazione istantanea. Viviamo un’era di gamification, in cui anche aggiungere dei prodotti al carrello di Amazon è un gioco. Quali consigli daresti per una remise en forme primaverile, oltre al ripensare al rapporto con la tecnologia?

Innanzitutto, dobbiamo darci delle regole. Le regole dobbiamo rispettarle, ma sono anche quello che ci fa vincere il gioco. Se non ci diamo regole, lo farà qualcun altro. E pensiamo alle conseguenze delle non-regole. Per esempio, se tu dopo cena non togli la riproduzione automatica su Netflix, finirai intrinsecamente per guardarti un sacco di puntate di una serie tv. Non dico sia un problema, c’è un costo: togli ore al sonno. Il sonno mi sta molto a cuore, siccome l’80% degli italiani va a letto dopo un check allo smartphone e, quando si sveglia, lo prende in mano entro 15 minuti.

Ci siamo dati delle regole. E poi?

E poi dobbiamo eliminare gli elementi di disturbo e di distrazione, la cui etimologia è distraere, "separare". Il digitale può separarci da chi vogliamo essere. Non solo siamo distratti, ma procrastiniamo. Perché non ci diamo la regola di eliminare lo smartphone a tavola, specie quando si ha una famiglia, o siamo a letto? Riappropriamoci del tempo, perché stiamo allenando la nostra mente alla distrazione. Tutti noi potremmo scrivere il più grande best seller e pubblicarlo, o dare TED Talk con milioni di views, eppure preferiamo distrarci. Ma la sfida non è togliere del tutto lo smartphone e disiscriversi da ogni social, questa semmai è una scorciatoia. Ci serve un nuovo sentiero, ci serve capire che il nostro benessere dipende molto dalla tecnologia.

Nell’economia dell’attenzione, la moneta è il nostro tempo. Come combattere l’accumulazione seriale di stimoli?

Abbiamo accesso all’informazione, ma anche qui c’è un bias. L’informazione non si tramuta in conoscenza, se siamo assorbiti da continui input. Un famoso filosofo coreano, Byung-Chul Han, parla di Info Obesity, di "obesità digitale". Se al ristorante dovessi ordinare da un menù con una scelta pressoché infinita, è chiaro che procrastineresti. Ma dietro ai tanti contenuti gratuiti c’è un effetto Plateau, che è il paradosso della produttività. Se ci iscriviamo a tanti corsi gratis che troviamo in rete, poi finiamo a non completarli. La nostra attenzione è continua ma è parziale. Siamo ingabbiati in una giungla digitale, un sistema che non ci vuole attenti, perché in fin dei conti la nostra attenzione – e disattenzione – fattura molto. Posso aprire una polemica personale?

Prego.

Oggi vedo una grande offerta di contenuti. C’è tanto self help, tanti ci dicono come fare Digital Wellbeing come potrei essere io, senza però darci le leve psicologiche alla base del nostro comportamento. I consigli non portano da nessuna parte, abbiamo bisogno di cambiamenti piccoli, incrementali e costanti. Perché il digitale è una prateria dove facciamo cavalcare le nostre debolezze, le nostre fragilità, quel che non vogliamo vedere. Le ricerche ci dicono che il 1° gennaio ci iscriviamo in palestra ma al 28 febbraio tra il 70% e l’80% di chi si è iscritto non sta continuando ad allenarsi. Noi non conosciamo com’è fatta la nostra mente, che è progettata per salvarci. Andare tre volte a settimana un’ora in palestra è un’abitudine impattante. Un grande ricercatore della Stanford University, B. J. Fog, ci dice invece che i cambiamenti devono essere piccoli, semplici e costanti. Non ha ragione?

2023-05-05T12:17:34Z dg43tfdfdgfd