L’Unione europea reagisce alla dipendenza dall’importazione di materie prime critiche: con il Raw Materials Act entro il 2030 il 10% di quelle consumate in un anno dovrà essere estratto nella Ue, dove dovranno avvenire anche il 40% della lavorazione e il 15% del riciclo. Non oltre il 65% delle materie prime critiche potrà arrivare da un singolo Paese terzo. Per diventare più indipendenti possiamo anche provare a sostituire alcuni materiali critici oltre a recuperare parte di quelli che buttiamo via. La ricerca suggerisce di trovare un sostituto del litio, ottimo materiale ma sottoposto a tensioni geostrategiche e di mercato ormai insopportabili. Un candidato è il sodio, il sale, elemento ubiquitario e più che disponibile che apre a batterie con costi che sono 1/3 degli attuali. Poi c’è l’economia circolare, campo di eccellenza italiana.
Quello delle batterie è un settore in continua evoluzione. Per l’auto elettrica quella a ioni di litio è la tecnologia d’elezione, ma si studiano nuovi materiali con più alta capacità di accumulo e voltaggio e in grado di sfuggire ai colli di bottiglia geopolitici creati da cobalto e litio. “Siamo passati dalla prima batteria al litio degli anni 90 della Sony che aveva solo cobalto a una riduzione progressiva: ora si usano sistemi a nickel manganese e cobalto: di cobalto ne basta un terzo”, spiega Pier Paolo Prosini, ricercatore del Laboratorio di accumulo di energia, batterie e tecnologie per la produzione e l’uso dell’idrogeno di Enea.
Recuperare i ritardi
Altro elemento critico, come abbiamo visto, è il litio. Si trova soprattutto in Sudamerica, in Cina, in Australia. In Europa ce n’è poco. Potrà veramente essere sostituito dal sale? E se è così come mai questa soluzione non si è affermata? “Lo studio sulle batterie a ioni di sodio è iniziato parallelamente a quello sulle batterie a ioni di litio. Ma il litio ha trovato subito la sua via dando buoni risultati e questo ha bloccato la ricerca sul sodio”, continua Prosini. “Ora però il sodio è tornato in auge per vari motivi: è ubiquitario, non comporta problemi geopolitici e l’attrezzatura tecnologica è la stessa di quella usata per la produzione delle batterie a ioni di litio, quindi non dovremmo stravolgere i processi industriali”. Alcune batterie al sodio sono già sul mercato. Ad esempio quelle prodotte dalla Faradion a Sheffield, nel Regno Unito. In Italia Enea ha realizzato un prototipo.
Veicoli elettrici a parte, c’è anche la questione degli accumuli per la rete elettrica, oggi indispensabili per garantirne il bilanciamento vista la parziale programmabilità delle fonti rinnovabili e la distribuzione geografica che in Italia vede maggior capacità rinnovabile a sud e maggiori consumi elettrici a nord. Ci sono vari metodi di accumulo per la rete - pompaggi, a gravità, termici, power to gas e così via - ma “tra i vari sistemi le batterie hanno il vantaggio che metti elettricità e ritiri elettricità, altri tipi di accumulo richiedono invece sistemi per ricrearla”, rileva il ricercatore Enea.
Mentre per le batterie da autotrazione elementi chiave oltre il costo sono il peso e le dimensioni, “per i sistemi stazionari il problema principale è il costo, ma si può ridurre”, sempre col sodio. In Italia - segnala Prosini - con Cnr e Rse l’Enea ha programmi finanziati in cui si fanno ricerche soprattutto sulle batterie stazionarie: al Cnr di Messina studiano le sodio nickel e le cloruro e ferro, Rse invece analizza con Enea le batterie a ioni di sodio.
Il litio - come altri materiali - si può sostituire ma anche recuperare in una prospettiva di economia circolare. Per ora non andiamo benissimo ma siamo sulla soglia di un avanzamento tecnologico e di mercato. “Le batterie dopo un certo periodo di uso hanno prestazioni non più adeguate alla mobilità elettrica ma sono ancora valide per altri scopi, come batterie tampone, per equilibrare le reti elettriche, per alimentare le colonnine di ricarica. E poi alla fine della loro vita vanno recuperati i materiali”, spiega Andrea Marchionni, del Cnr-Iccom di Firenze.
Più economia circolare
Di impianti che processano le batterie in Europa attualmente ce n’è circa una dozzina, il più noto è in Belgio, della Umicore. Le fondono in un altoforno ottenendo una lega di rame, cobalto e nickel che viene trattata con acidi per ottenere una soluzione dalla quale sono separati i metalli. E il prezioso litio? “Finisce in altri scarti, con l’alluminio, e si usa come componente in collanti per l’edilizia”, continua Marchionni. Uno spreco, ma per i volumi attuali di mercato “non è ancora economicamente conveniente separare il litio, per questo la batteria non viene smontata ma direttamente buttata nell’altoforno”.
Al crescere dei volumi da riciclare diventerà sostenibile economicamente ampliare il settore del riciclo, con lo smontaggio della batteria e il recupero degli elementi. Ne è un esempio l’innovativa fabbrica da poco inaugurata dalla Mercedes Benz a Kuppenheim, in Germania. È un impianto pilota, operativo dal prossimo dicembre, che punta a una capacità annua di 2.500 tonnellate, con i materiali recuperati reimmessi nel ciclo grazie a un processo meccanico-idrometallurgico per produrre più di 50 mila moduli batteria.
Le cose insomma cambieranno presto, e le prospettive sono interessanti. Secondo uno studio Motus-E, Strategy& e Politecnico di Milano, si stimano fino a oltre 6 miliardi di euro i ricavi generati in Europa al 2050 dalla vendita di nickel, cobalto e litio riciclati dalle batterie dei veicoli elettrici. Considerando solo quelle che si troveranno già sul territorio nazionale, e senza contare tutto l’indotto del comparto, i ricavi in Italia si attesteranno tra i 400 e i 600 milioni di euro, con conseguente creazione di posti di lavoro, e una vertiginosa prospettiva di aumento al crescere del parco elettrico circolante. Il giro d’affari può espandersi ulteriormente e più velocemente importando accumulatori da riciclare. Al 2050 la stima dello studio è di circa 3,4 milioni di tonnellate di batterie a fine seconda vita pronte per essere riciclate in Europa, a fronte di una capacità di riciclo che non supera oggi le 80 mila tonnellate anno.
Un brevetto italiano
Il salto di qualità e quantità “ci sarà fra 5-10 anni ma dobbiamo partire adesso per la ricerca applicata industriale, i processi devono essere testati su scala di impianto pilota”, avverte Marchionni, e l’Italia è già in campo. “Come Cnr-Iccom nel 2014 abbiamo avviato con Cobat, leader nella gestione di pile e di accumulatori esausti, una ricerca per superare i limiti del processo pirometallurgico e recuperare litio e altri metalli, ma soprattutto litio. Il risultato è stato un brevetto europeo con Cobat, che ha in programma nel corso di quest’anno la realizzazione di un impianto pilota sulla base della ricerca svolta”.
Un processo frutto della ricerca italiana e molto efficiente. “Si tratta di una via idrometallurgica, che utilizza reattivi in soluzione e basse temperature, e da lì un processo che permette il recupero del litio”, spiega Marchionni, “con questo sistema più del 90% del litio della batteria viene recuperato, con una purezza superiore al 95%”. Un processo che in base a proiezioni risulta economicamente vantaggioso, con dei margini che non possono che migliorare al crescere del mercato.
Cobat Ecofactory, impianto nato in sinergia con la Esplodenti Sabino, sarà in grado non solo di effettuare la selezione e la cernita degli accumulatori al litio recuperati dai centri raccolta ma anche di trattare e riciclare le celle al litio. L’impianto si trova in provincia di Chieti, posizione particolarmente strategica da un punto di vista geografico, e lo sarà ancor di più se andrà in porto il progetto della gigafactory di batterie prevista a Termoli, struttura che potrà assorbire il litio recuperato in Abruzzo. L'obiettivo di Cobat Ecofactory è generare un processo virtuoso di economia circolare capace di raccordare vari elementi: la filiera del fine vita degli accumulatori al litio provenienti sia da apparecchiature elettroniche che da auto elettriche; il trattamento degli accumulatori destinati a una seconda vita (dopo il recupero delle materie prime destinate alla costruzione di nuovi accumulatori).
Con il processo elaborato da Cnr e Cobat “si ottiene litio carbonato, che è un precursore: è il composto che viene fuori dalla miniera, che poi va lavorato per realizzare la batteria”, spiega il ricercatore, ma “la ricerca prosegue ed è molto attiva. Cnr-Iccom sta collaborando con l’università Milano-Bicocca nel progetto Colibrì, coordinato dalla ricercatrice Chiara Ferrara e finanziato dalla Fondazione Cariplo, per sviluppare un processo idrometallurgico che permetta di rigenerare il materiale attivo che contiene il litio nella forma già direttamente utilizzabile nella produzione delle batterie, saltando un passaggio”, precisa Marchionni.
Giacimenti di rifiuti minerari
Il Raw Materials Act punta anche a rendere più facile l’estrazione di materiali critici in Europa, tema dibattuto data l’accettabilità sociale e la sostenibilità ambientale legate all’apertura di nuove miniere, dando tempi certi alle autorizzazioni. Anche su questo elemento c’è una via italiana ispirata alla circolarità e alla sostenibilità. Il Servizio geologico d'Italia dell’Ispra ha segnalato che esistono notevoli risorse minerarie in Italia: sono disponibili materie prime critiche per le quali è possibile un'estrazione sostenibile. Giacimenti antropici nati perché le industrie estrattive dismesse hanno generato enormi quantità di rifiuti. Il solo distretto minerario sardo, il più importante d'Italia, conta circa 70 milioni di metri cubi di scarti di estrazione, con un elevato impatto ambientale. Sono veri e propri giacimenti storici di rifiuti minerari e metallurgici che possono essere rielaborati da tecnologie sostenibili e innovative, riducendo gli impatti sull'ambiente e la salute.
L’Ue, auspicano da Ispra, dovrebbe incoraggiare gli Stati membri a procedere a una caratterizzazione geochimica e mineralogica dei rifiuti minerari per valutarne il potenziale di recupero di minerali critici e strategici e stimolare gli stati membri a promuovere la normativa che consenta il recupero dei materiali da rifiuti storici. “La circolarità, però, da sola non sarà mai sufficiente per tenere il passo con la richiesta di materie prime minerarie”, avverte Fiorenzo Fumanti, del dipartimento per il Servizio geologico d'Italia Ispra. “Il Raw Materials Act chiederà agli Stati membri di procedere in tempi molto brevi con la definizione delle potenzialità minerarie nazionali e un programma di ricerca”. I rifiuti estrattivi “sono sicuramente una parte importante e la loro rimozione elimina anche un serio problema ambientale ma certo non può essere l'unica azione che l'Italia può fare per fornire risorse all'industria”, precisa Fumanti.
Insomma, sostituzione, recupero e sfruttamento delle vecchie miniere. La ricerca italiana ha da giocare il suo ruolo anche nel gestire gli approvvigionamenti di materiali critici. “Molte attese stanno diventando realtà, se a questo aggiungiamo il Raw Materials Act il quadro si completa non solo per le batterie ma anche per gli aspetti che riguardano la transizione digitale e l’elettrificazione”, valuta Stefano Leoni, del Circular Economy Network. “Già ora i produttori hanno volto un’attenzione particolare al bene batteria, che ha un discreto valore: alcune case auto hanno posto agli operatori delle reti demolizione l’obbligo di consegnare le batterie dei veicoli elettrici. Per i giacimenti di rifiuti minerari il recupero non è così semplice perché bisogna tener conto degli aspetti economici e quindi studiare le concentrazioni per capire come intervenire. Ma il settore è molto interessante, con grandi potenzialità e un grande valore economico perché la domanda è in costante aumento: questo rende la prospettiva circolare una via obbligatoria”.
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